«Stiamo insieme finché dura, poi ognuno per la sua strada. E non c’è nulla da scandalizzarsi. Inutile tentare di aggiustare qualcosa che si è rotto».
Il divorzio già messo in conto come via di fuga da una relazione di coppia diventata all’improvviso insostenibile. O comunque così ci pare. D’altra parte, se solo nel 2024 quasi 80mila coppie nel nostro Paese – oltre a 82 mila separazioni – hanno deciso di mandare in frantumi il loro matrimonio, vuol dire che tante, tantissime crisi di coppia vengono affrontate nella certezza che non “tanto non c’è più nulla da fare”.
Meglio azzerare tutto e ripartire da zero, avviando una nuova relazione.
Una deriva inevitabile? No, ci dice Elisabetta Ambrosi, giornalista e scrittrice, dichiararsi sconfitti senza combattere per la propria relazione non è l’unica possibilità. Anzi, l’approccio più opportuno è l’esatto contrario: «Provare a vedere se ci sono i margini per ricominciare a parlare, a condividere anche quando noi fatichiamo a vedere davvero chi abbiamo di fronte. Per capire che restare dove siamo può non essere una scelta conservatrice, ma paradossalmente una scelta, se non rivoluzionaria, almeno possiamo dire, profondamente riformista».
Ambrosi argomenta la sua convinzione in un libro sorprendente, Come sopravvivere a un matrimonio imperfetto ed essere felici. Un libro per imparare a non lasciarsi (San Paolo). Sorprendente non tanto per la tesi secondo cui “cambiare persona” non è detto che poi possa cambiare davvero le cose.
Innanzi tutto occorre sbarazzarsi dal mito dell’amore romantico-fusionale che con la quotidianità del matrimonio – cioè figli, lavoro, casa, scuola, pulizie, supermercato, bollette – ha scarse coincidenze. Anzi, se ci si ostina a tenere come punto di riferimento il miraggio del matrimonio idilliaco, “e vissero felici e contenti”, c’è il rischio concreto di separarsi dopo la prima notte di nozze. E poi è indispensabile mettere da parte un certo tipo di sessualità fantastica, tipo serie tv e canzoni, nella convinzione che «la sessualità sia un modo per recuperare la leggerezza perduta del matrimonio», mentre è vero il contrario. E cioè, perduta la leggerezza, addio anche al desiderio. Ma anche in questo caso si può trovare il modo per resistere e andare avanti perché la separazione, osserva ancora l’autrice, non è mai un “buon affare”. Né per i figli, né per il conto in banca – e qui è difficile dimostrare il contrario – ma alla fine neppure per i protagonisti della disavventura. Con l’imperfezione e l’infelicità si può fare pace, magari con un pizzico di impegno condiviso perché questa faticosa sfida della convivenza matrimoniale possa apparire un po’ meno infelice e un po’ meno imperfetta.
Come fare i conti allora con i cambiamenti personali determinati dal tempo, dagli avvenimenti, dagli incontri e da tanto altro? E come fare in modo che questi cambiamenti non ci portino troppo distanti dalla persona che eravamo al momento del matrimonio? A parere di Ambrosi ritrovarsi con un partner “diverso” da quello conosciuto tanti – o pochi – anni prima, non è poi una tragedia. Sia perché il cambiamento fa parte della vita, è il segnale che siamo riusciti a interagire con il mondo, e va sempre considerata una ricchezza. «Forse, si potrebbe scoprire che quel nuovo punto di arrivo, che appare inizialmente così diverso da ciò che si crede e vuole, rappresenta qualcosa di interessante, che vale la pena conoscere».
A rendere più interessanti i sei capitoli altrettanti dialoghi sull’amore romantico (Marta Tibaldi, psicanalista junghiana); sulla sessualità nella coppia (Paolo Gambini, docente di psicologia e psicoterapeuta); sulla conflittualità e sulla scarsa comunicazione come causa di incomprensione (Brigida Cesta, avvocato penalista); sulle finanze della famiglia (Azzurra Rinaldi, economista); sulle relazioni che cambiano (Simona Argentieri, psicanalista e scrittrice); sulla postmodernità come causa di egocentrismo inguaribile (Roberta De Monticelli, filosofa).
Se ne ricava un quadro composito e impegnativo che rafforza la tesi del libro. Forse, per andare d’accordo e quindi per realizzare un bene superiore, bisognerebbe provare a fare un passo indietro invece che sempre avanti, «provare a rinunciare a qualcosa per l’altro, accettare le limitazioni che una vita insieme comporta. Perché farlo? Perché, in definitiva, forse potrebbe essere una strada di maggiore felicità anche per noi». A patto, naturalmente, che anche l’altro/a condivida questa strategia in una prospettiva di reciprocità: fare un passo indietro come individui per farne due avanti come coppia.
E quindi? Forse la conclusione non piacerà a Elisabetta Ambrosi, ma la proponiamo lo stesso. Questo saggio ragionevole potrebbe essere prezioso anche come percorso propedeutico laico di preparazione al matrimonio, trasformando un libro che ha scelto di mettere da parte qualsiasi riferimento agli aspetti sacramentali, in un sussidio pastorale di grande originalità. Perché, prima di essere grazia e mistero, la vita a due è concretezza e quotidianità. Se non funziona nella realtà, anche gli appelli allo spirito diventano tanto vaghi da risultare incomprensibili, e quindi inutili. Pensiamoci.
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