Il Giappone, tra i Paesi sviluppati, è solitamente additato come uno dei più restii ad aprire le proprie frontiere ai lavoratori stranieri. Con una crisi demografica ormai già pienamente osservabile, però, il governo di Tokyo negli ultimi anni ha iniziato a muovere alcuni importanti passi per rimediare alla mancanza di manodopera locale. Oggi nel Sol Levante risiedono e lavorano circa 1,72 milioni di cittadini stranieri, due volte e mezzo il numero di quelli presenti un decennio fa. Eppure, ben al di sotto della soglia stimata di 6,74 milioni di lavoratori immigrati di cui la nazione avrà bisogno entro il 2040.
La condizione dei lavoratori stranieri in Giappone è molto dura e spesso gli immigrati, sprovvisti di un adeguato sostegno, sono oggetto di abusi. Poche settimane fa nella prefettura di Miyagi tre lavoratrici vietnamite, che erano state costrette a lasciare l’impiego e avevano deciso di iscriversi al sindacato locale per far valere i loro diritti, si sono viste recapitare la richiesta di abbandonare il sindacato come prerequisito per poter chiedere di essere riassunte. A inizio anno invece, un’azienda di Hokkaido ha chiesto due milioni di yen di danni (circa 17mila euro) per aver “disatteso ai propri doveri lavorativi” agli impiegati stranieri del proprio stabilimento che avevano scioperato per chiedere migliori condizioni lavorative.
Anche per quanto riguarda i maltrattamenti fisici, gli stranieri devono spesso confrontarsi con una realtà oppressiva. A gennaio un apprendista tecnico vietnamita ha denunciato due anni di maltrattamenti da parte dei propri colleghi giapponesi, alcuni dei quali erano risultati in diverse ossa rotte o in punti di sutura al labbro. Il lavoratore ha chiesto una scusa ufficiale e un risarcimento da parte dell’agenzia di collocamento e dell’azienda.
Per far fronte a queste e altri difficoltà, questa settimana è entrato in funzione un servizio di consulenza per i lavoratori stranieri operato dal JP-MIRAI (Japan Platform for Migrant Workers toward a Responsible and Inclusive Society), un ente indipendente costituito dall’Agenzia del Giappone per la Cooperazione Internazionale, dalle amministrazioni locali e dalle organizzazioni sindacali. Questo servizio, disponibile in diverse lingue tra cui il mandarino e il vietnamita, aiuterà i lavoratori stranieri a risolvere i problemi sul posto di lavoro come ad esempio i salari non pagati, le difficoltà col visto o l’assistenza sanitaria. Il JP-MIRAI mira a fare da tramite tra i lavoratori stranieri e la direzione delle aziende, riportando a queste ultime in modo anonimo le difficoltà e i reclami degli impiegati. Se poi i problemi dovessero essere particolarmente gravi, i consulenti della piattaforma possono indirizzare i lavoratori verso un avvocato per avviare un’azione legale.
Per il momento il servizio è in una fase pilota. A finanziare l’iniziativa ci sono otto aziende giapponesi, tra cui Toyota e Seven&i Holdings, i cui dipendenti potranno avvalersi della consulenza del JP-MIRAI. Per il primo anno, avranno accesso a questo servizio fino a 20mila lavoratori, che potranno essere espansi a 200mila l’anno prossimo e a un milione nel 2024. L’obiettivo è ambizioso e bisognerà attendere prima di valutarne l’efficacia, dal momento che l’adesione da parte delle aziende (alcune delle quali hanno preferito non comunicare al pubblico la propria partecipazione) rimane per ora volontaria. Mentre nel resto del mondo aumenta la pressione per preservare i diritti umani sul posto di lavoro, anche in Giappone si sta muovendo qualcosa; la strada da fare è ancora lunga, ma i passi compiuti vanno nella giusta direzione.
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