Negli ultimi 10 giorni sono già state emesse quattro sentenze da altrettanti tribunali sparsi in tutto il Giappone e il verdetto sembra andare verso una direzione ben precisa: il sistema elettorale va riformato per garantire una miglior rappresentanza. Dopo le elezioni generali che si sono tenute il 31 ottobre, un gruppo di avvocati ha avviato un’azione legale in diverse corti per contestare le grandi e crescenti disparità tra le circoscrizioni uninominali in cui la legge elettorale divide il Paese.
Durante il voto dello scorso autunno, il rapporto tra la circoscrizione meno popolata (quella rurale di Tottori, n. 1) e la più abitata (quella di Tokyo, n. 13) era di 2,08: ciò significa che per eleggere un singolo parlamentare il voto di un elettore residente nella prima vale più del doppio di uno residente nella seconda. Il gruppo di avvocati che ha iniziato la campagna sostiene che queste disparità violano la Costituzione, secondo cui il voto di ogni cittadino vale allo stesso modo.
Gli altri tribunali dovrebbero emettere le proprie sentenze entro il 9 marzo, ma tra quelle emesse fino ad ora tre hanno decretato che le elezioni si sono svolte in uno “stato di incostituzionalità”; solo il tribunale di Tokyo ne ha sancito invece la costituzionalità.
Il tribunale di Takamatsu ha affermato che non è possibile sottovalutare l’importanza della disuguaglianza tra il peso dei voti degli elettori, sottolineando oltretutto che in 29 circoscrizioni uninominali (su un totale di 289) tale peso era più del doppio di quello di ogni elettore nella circoscrizione più popolata. Nessuno dei giudici però si è spinto fino ad annullare la validità delle elezioni, come richiesto dal gruppo di avvocati.
Ora la parola passa alla Corte suprema, che potrebbe esprimere un giudizio sul tema entro la fine dell’anno. Sullo stesso tema la Corte si era già espressa: commentando le elezioni generali del 2009, 2012 e 2014, i giudici ne avevano denunciato lo stato di incostituzionalità poiché il rapporto massimo di disuguaglianza tra i voti era superiore a 2.
Successivamente le autorità hanno eliminato sei circoscrizioni e le elezioni del 2017 (tenutesi con le stesse divisioni di quelle dello scorso ottobre) sono state ritenute costituzionali, visto che il rapporto era sceso a 1,98. Ulteriori misure sono state adottate dal Parlamento per migliorare la rappresentatività del sistema elettorale, eliminando 10 circoscrizioni in aree rurali spopolate e creandone altre 10 in aree urbane densamente popolate, ma non sono ancora entrate in vigore.
La rappresentatività del sistema elettorale è al centro di un dibattito politico di lunghissima data. Il Partito liberaldemocratico (Ldp), storicamente forte nelle zone rurali del Giappone, ha sempre favorito la sovra-rappresentazione parlamentare dell’elettorato rurale a discapito di quello urbano. Lo ha giustificato col bisogno di dare maggior voce agli elettori di queste aree meno sviluppate.
Anche la modifica della distribuzione dei seggi, che dovrebbe creare nove nuove circoscrizioni nell’area metropolitana di Tokyo e ridurre invece la rappresentanza in alcuni tradizionali feudi liberaldemocratici, dovrebbe ridurre il rapporto massimo di disuguaglianza all’1,69, senza quindi modificare radicalmente l’impianto generale del sistema elettorale pro-Ldp. Ciononostante anche queste modifiche hanno suscitato malumori all’interno del partito di governo, con diversi alti esponenti che si sono espressi contro la modifica delle circoscrizioni.
L’invecchiamento della popolazione, la depressione economica delle aree rurali e la migrazione dei giovani in cerca di lavoro verso le metropoli stanno al cuore del problema. Nei prossimi decenni questi squilibri sono destinati ad aumentare. Rivedere il sistema elettorale per renderlo più equo sarà dunque un imperativo per la democrazia giapponese.
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