Ridisegnare l’Irpef nel segno della equità

by • 2 marzo 2020 • ECONOMIA, In evidenzaCommenti disabilitati su Ridisegnare l’Irpef nel segno della equità502

L’appello arriva forte dagli «Stati generali dei commercialisti»
I conti sono evidenti: il regime fiscale attualmente in vigore schiaccia soprattutto coloro che hanno un reddito compreso tra i 28 e i 55 mila euro l’anno.

«Si tratta di una pressione iniqua e quasi insostenibile – accusa Massimo Miani, presidente dei commercialisti italiani -. Per chi dichiara tra 28 e 55 mila euro l’aliquota marginale Irpef è al 38% e aggiungendo le addizionali si va ben sopra il 40% di pressione fiscale.
A questi livelli siamo in presenza di una attività espropriativa del ceto medio. La riforma fiscale di cui si parla non può non tener conto di questa iniquità. Bisognerà cercare di intervenire sulle priorità che si chiamano semplificazione ed equità fiscale. Crediamo di poter svolgere un ruolo importante in tal senso grazie alla nostra esperienza e alla nostra professionalità. Del resto più del 75% delle entrate fiscali arriva attraverso l’assistenza dei commercialisti».

Da tempo i professionisti chiedono un ruolo più attivo prima che le riforme e i nuovi testi normativi vengano varati. «Per esempio in tema di semplificazione – continua Miani – siamo sempre alle solite: annunci a cui non seguono i fatti. Si susseguono stratificazioni di leggi fiscali che complicano il compito di contribuenti e professionisti. Al contrario di ciò che si può immaginare, i commercialisti non temono le semplificazioni. Non solo non le temono: le auspicano. Anche perché sanno che, per quanto semplice possa essere il sistema fiscale, quando c’è da dichiarare qualcosa di più di un semplice reddito di lavoro dipendente, di pensione e qualche detrazione, il parere di un esperto di fiducia sarà sempre richiesto».
Parlando di riforma fiscale, andrebbero affrontati dei cambiamenti non solo per il mondo dei lavoratori dipendenti ma anche per quello degli autonomi. «Lo chiediamo da tempo ai vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni – aggiunge Miani -. Per poter ridisegnare l’Irpef nel segno della equità, dell’efficienza e della trasparenza del prelievo, è necessario avere anzitutto ben chiaro quali redditi vi siano effettivamente soggetti, ossia l’effettivo ambito di applicazione dell’imposta».

Il futuro della professione
Tra i temi affrontati durante gli stati generali della categoria c’è il futuro della professione. L’intelligenza artificiale e la digitalizzazione dei processi ne stanno già cambiando il volto. «Ne siamo consapevoli – ammette il presidente dei commercialisti italiani – ma la nostra categoria ha risorse e competenze da spendere in vari settori nel pubblico e nel privato. Per esempio i commercialisti possono diventare i funzionari di controllo di primo livello sui finanziamenti europei. Affidare a un professionista appositamente formato un’area delicata come quella dei finanziamenti comunitari potrebbe aumentare o mettere al sicuro i finanziamenti che arrivano dall’Europa per enti pubblici o privati. Poi c’è la certificazione in ambito fiscale: per esempio il visto di conformità sulla compensazione dei crediti o la certificazione del bilancio sono mansioni che già svolgiamo ma che possono essere più ampie e più diffuse all’interno della nostra categoria».

«Possiamo diventare il management delle Pmi italiane»
E poi c’è l’eterna aspirazione a diventare parte integrante del sistema delle piccole e medie imprese italiane, quelle che, spesso, non hanno un sistema manageriale interno ma che si affidano alla consulenza dei commercialisti. «Alla luce della riforma sulla crisi d’impresa c’è ampio spazio per la consulenza – concorda Miani – possiamo diventare il management delle Pmi italiane, bisognerà investire in formazione e avere un sistema ordinistico in grado di sorvegliare e sanzionare eventuali abusi. Per riuscirci però, abbiamo bisogno di collaborare con le istituzioni competenti: se si aprisse un dialogo con le procure, aumenteremmo la nostra capacità di vigilanza e la nostra efficacia. Infine, bisogna pensare a un salto dimensionale anche per gli studi professionali: i due terzi dei commercialisti lavora in studi individuali. Per crescere servono competenze più ampie e organismi più strutturati»

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