Perché l’uomo continua a farsi guerra?

by • 22 aprile 2025 • In evidenza, OLTRE LA NOTIZIA di Pasquale Ferrara, SOCIALECommenti (0)31

Le guerre hanno sempre accompagnato la storia dell’umanità, eppure, nonostante i progressi della civiltà, l’uomo sembra incapace di liberarsi da questo flagello.
Un’indagine oltre le cause superficiali
di Pasquale Ferrara

Le cause dei conflitti sono noterivalità geopolitiche, controllo delle risorse, ambizioni di potere, ideologie contrapposte. Ma se queste sono le scintille, qual è il combustibile che alimenta l’eterna propensione alla violenza? Perché, nonostante l’evoluzione culturale e tecnologica, l’essere umano rimane così incline alla guerra?

Le pulsioni profonde: tra istinto e cultura
Sigmund Freud e Konrad Lorenz hanno esplorato l’aggressività come componente innata della natura umana. Freud, con la sua teoria delle pulsioni di vita e di morte (Eros e Thanatos), suggerisce che l’uomo è perennemente in bilico tra creatività e distruzione. Lorenz, dal canto suo, vede nell’aggressività un retaggio evolutivo, un meccanismo di sopravvivenza che, in assenza di correttivi culturali, sfocia in violenza indiscriminata.

Ma è davvero solo una questione di istinto? Lo psicologo Luigi De Marchi introduce un’ipotesi suggestiva: lo “schock primario inconscio“, ovvero il trauma derivante dalla consapevolezza della mortalità. Secondo questa visione, l’uomo, angosciato dalla limitatezza della propria esistenza, cercherebbe nella guerra una forma di negazione della morte, un tentativo di affermare un potere assoluto sul destino.

La società come amplificatore (o mitigatore) della violenza
Erich Fromm, nel suo “Anatomia della distruttività umana“, distingue tra aggressività benigna (difensiva) e maligna (gratuita). Quest’ultima, sostiene, non è biologica ma appresa, frutto di strutture sociali oppressive e di ideologie disumanizzanti. La guerra, dunque, non sarebbe un destino ineluttabile, ma il prodotto di scelte storiche e culturali.

Una prospettiva ancora più radicale è quella genetica. Recenti studi, citati dal divulgatore scientifico Richard Dawkins, ipotizzano l’esistenza di un “gene dell’egoismo“, una variante che predisporrebbe alcuni individui a privilegiare l’interesse personale su quello collettivo. Se confermata, questa teoria aprirebbe interrogativi etici enormi: siamo davvero liberi di scegliere la pace, o parte della nostra biologia ci spinge verso il conflitto?

Verso una risposta multidimensionale
Nessuna di queste teorie, da sola, basta a spiegare la complessità della guerra. Forse la verità sta nell’intersezione di più fattori: biologici, psicologici, sociali. L’uomo è un animale razionale, ma anche emotivo; capace di empatia, ma anche di crudeltà. La guerra è forse il sintomo di una contraddizione irrisolta: il conflitto tra il nostro bisogno di sicurezza e la paura dell’altro, tra il desiderio di dominio e l’anelito alla cooperazione.

Se vogliamo sperare in un futuro senza guerre, dobbiamo lavorare su più livelli: educare all’empatia, costruire istituzioni inclusive, sfidare le narrazioni che demonizzano il diverso.
Perché la pace non è l’assenza di conflitto, ma la capacità di risolverlo senza distruggersi.
E questa capacità, forse, è la vera misura della nostra umanità.

Pasquale Ferrara, 22 aprile 2025

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Articolo a cura della redazione di Costa Paradiso News. Immagini: Reuters, AFP, elaborazione interna.

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Redazione Costa Paradiso News
22 aprile 2025 alle 12:47

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