La settimana scorsa è stato il turno del presidente cinese Xi Jinping che ha annunciato nella sua visita la creazione “di una comunità strategica Cina-Vietnam di futuro condiviso”. A settembre era toccata, invece, al capo della Casa Bianca Joe Biden visitare in pompa magna il Paese del sudest asiatico, elevando “la relazione bilaterale con Hanoi al grado di partnership strategica globale”. Il Vietnam da Paese paria del sistema internazionale è diventato, rapidamente, un Paese altamente strategico. Perché Cina e Usa corteggiano, con tanta tenacia, Hanoi, peraltro con il rischio di creare un nuovo fronte di tensione tra le due superpotenze?
La risposta è conficcata nel “ventre” del Paese. Il Vietnam possiede la seconda più grande riserva stimata di terre rare – il gruppo di 17 elementi chimici essenziali per nutrire l’industria tecnologica ed elettronica – al mondo: 22 milioni di tonnellate. Per capire l’entità della ricchezza che Hanoi custodisce, basta paragonarla a quella degli altri Paesi. In testa alla classifica c’è la Cina che “vanta” riserve per 44 milioni di tonnellate. Non solo: nel 2022 il gigante asiatico è stato anche di gran lunga il principale produttore mondiale di terre rare, producendo circa 210.000 tonnellate. Al terzo posto si collocano Brasile e Russia che hanno riverse pari a 21 milioni di tonnellate. Gli Usa si posizionano “solo” al sesto posto con 2,3 milioni di tonnellate anche se, nel 2022, Washington ha registrato la seconda produzione più alta di terre rare nel mondo con 43.000 tonnellate.
Una ricchezza ancora da esplorare
L’appetibilità del Vietnam dipende anche da un altro fattore: i suoi giacimenti sono in gran parte “intoccati”. La produzione è ancora molto ridotta anche se in fase crescente, rallentata dalle scarse capacità tecnologiche del Paese: 400 tonnellate nel 2021, 4.300 tonnellate nel 2022. A luglio, il governo vietnamita ha fissato l’obiettivo di produrre fino a 60mila tonnellate di terre rare all’anno entro il 2030. L’anno scorso la Cina ha fissato una quota interna di 210.000 tonnellate. Hanoi ha, quindi, annunciato l’intenzione di riavviare la sua più grande miniera di terre rare il prossimo anno nel sito di Dong Pao, rimasto inattivo per sette anni.
Una ricchezza di queste proporzioni muove gli appetiti di Pechino e Washington. E i rispettivi presidenti. Nel faccia a faccia con il presidente vietnamita Vo Van Thuong e il primo ministro Pham Minh Chinh dei giorni scorsi, il presidente cinese ha firmato 36 accordi, che prevedono anche la costruzione di una rete 5G e investimenti nelle infrastrutture sottomarine. Pechino ha poi dichiarato di essere pronta a “offrire sovvenzioni al Vietnam per costruire la ferrovia tra Kunming e la città portuale vietnamita di Haiphong”. La ferrovia attraverserà il cuore del Vietnam, dove guarda caso si trovano le terre rare.
Si muovono anche gli Usa
Da parte loro, anche gli Usa si sono mossi con decisione, “cancellando” peraltro un passato segnato da una guerra che è ancora una ferita aperta nella coscienza di entrambi i Paesi. Durante la visita di settembre, il presidente Biden si è impegnato ad aiutare il Vietnam a mappare le sue risorse e ad “attrarre investimenti di qualità”. Il governo degli Stati Uniti ha a disposizione 100 milioni di dollari all’anno ai sensi del Chips Act per sostenere le catene di fornitura di semiconduttori a livello globale. Gran parte del denaro potrebbe finire proprio in Vietnam.
Inevitabile che il “dossier” Vietnam rinfocoli la mai sopita rivalità strategica tra Usa e Cina, nonostante i recenti tentativi delle due superpotenze di spegnere i fronti più caldi. Pechino poco tollera quella che considera un’invasione nel suo “cortile di casa” ma anche come un attacco alla sua posizione egemone sul mercato globale. Dalle colonne del Global Times, voce ufficiale del Partito comunista, Pechino ha tuonato contro il tentativo statunitense “di incunearsi tra Cina e Vietnam”.
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