Un dovere di onestà intellettuale.
Parole di odio senza diritto
di Agostino Giovagnoli
Non esiste un diritto all’odio. Dopo le “farneticazioni” (secondo il ministro Crosetto) del generale Vannacci, politici, opinionisti, “esperti” hanno discettato di questo diritto. Ma, va detto con forza, non esiste nessun diritto all’odio. E che se ne parli con tanta superficialità, ignoranza e irresponsabilità è un segno impressionante di degrado del discorso pubblico in Italia (e altrove) Non esiste un diritto all’odio anzitutto perché si tratta di un “sentimento” – in realtà, le neuroscienze parlano di assemblaggio di sentimenti diversi – come aver paura, innamorarsi, gioire e tanti altri che la legge non può certo pretendere disciplinare: sia che le permetta sia che le proibisca ci sono comunque. In realtà, parlare di diritto all’odio è spesso un modo enfatico per giustificare moralmente la propria scelta di odiare (ma, va ribadito, alla lettera l’espressione non ha senso). Ma anche sul piano morale
non esiste un “diritto” tout court all’odio.
L’ira – sua parente prossima – è stata inserita dalla Chiesa tra i sette peccati capitali. Se l’odio contro il male è sempre giusto, non lo è quello che contro altri esseri umani. «Chiunque si adira contro suo fratello senza motivo, sarà sottoposto al giudizio» (Mt 5,22). È certamente il caso dell’odio verso immigrati o omosessuali in quanto tali senza che abbiano fatto nulla di male.
Ma poiché viene evocata la parola diritto è importante chiarire anche l’aspetto giuridico della questione. Per i motivi già detti, la legge non considera l’odio in quanto tale ma le sue espressioni e le sue conseguenze. Non a caso alcuni difendono il “discorso d’odio” o hate speech in nome della libertà d’opinione.
Tutti – o quasi – riconoscono invece che vanno puniti gli atti di violenza derivanti dall’odio: in questo caso, si dice, non vengono punite le opinioni ma atti concreti che producono un danno a qualcuno. Ma la linea di confine non è così chiara come sembra e, soprattutto, viviamo in una società che la mette continuamente in discussione. È infatti sempre più riconosciuto che il discorso d’odio – specie se riguarda intere categorie: ebrei, africani, omosessuali ecc. – normalizza l’idea che ci siano individui o gruppi inferiori, favorendone la discriminazione. È molto eloquente che il codice penale italiano neghi – almeno in alcuni casi – il diritto alle espressioni di odio e consideri l’hate speech un reato: non le sue conseguenze, ma il discorso d’odio in quanto tale. Lo fa l’articolo 604bis del Codice Penale, aggiunto appositamente per inserire in modo organico nel codice buona parte della legislazione antidiscriminatoria precedente sulla base dell’art. 3 della Costituzione, richiamata in tal senso venerdì nel suo intervento al Meeting di Rimini dal Presidente Sergio Mattarella. Il 604bis punisce non solo «l’organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» ma anche «chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico».
Non solo chi incita alla violenza o alla discriminazione, ma anche chi propaganda l’odio e, cioè, diffonde opinioni di odio. Già oggi, dunque, il nostro ordinamento chiede di bilanciare il principio della libertà d’opinione con il divieto di recare danno a persone. È il caso del discorso d’odio perché – è anzitutto il buon senso a dirlo – l’hate speech non è una semplice opinione che si può accettare o rifiutare razionalmente: non trasmette solo un contenuto razionale, ma comunica sempre anche un’emozione inquietante che “buca” il filtro della razionalità. Nell’odio, infatti, c’è un desiderio o una volontà di fare del male a qualcuno o la speranza che l’oggetto d’odio sia danneggiato. Questa carica, dunque, fa sì che l’espressione d’odio in quanto tale produca sempre – ovviamente in misure molto diverse – effetti immediati e non solo conseguenze indirette, come l’incitamento alla discriminazione e alla violenza. Nessun diritto all’odio, dunque, e le espressioni di odio considerate anzi, in alcuni casi, un reato. Respingere questo presunto diritto è dunque un dovere di onestà intellettuale, un’esigenza morale e un obbligo giuridico.
Di più: è una battaglia di civiltà. Secondo i sondaggi di opinione molti italiani, in questi giorni, sosterebbero il diritto all’odio e condividerebbero il ritorno del razzismo “biologico” – quello basato sul colore della pelle – che sembrava scomparso da tempo. Personalmente non credo che, al fondo. gli italiani siano primitivi e razzisti: certi atteggiamenti tornano ad emergere quando qualcuno dà il cattivo esempio, specie se gode di molta visibilità. Chi, dunque, riveste cariche pubbliche ha grandi responsabilità: è bene che lo ricordi. In ogni caso, discriminare gli altri non significa essere “veri” italiani: tradizioni morali, principi costituzionali e regole giuridiche mostrano esattamente il contrario.
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Agostino Giovagnoli è uno storico italiano, professore ordinario presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Si è occupato di storia dell’Italia repubblicana, dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica e di storia delle relazioni
domenica 27 agosto 2023
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