Aleksej Navalny ha sorriso fino all’ultimo, aspettando la sentenza dall’altra parte della gabbia di vetro, guardando la moglie Yulia in aula e disegnandole con le mani un cuore. Fuori dal tribunale le forze dell’ordine, dopo aver passato la giornata ad arrestare altre centinaia di persone oltre alle 7.000 fermate durante le manifestazioni dei giorni precedenti, si preparavano a contenere nuove proteste. A Mosca, Pietroburgo, nelle principali città della Russia.
Al termine della giornata, il giudice ha letto la sentenza. Una condanna scaduta, sospesa nel 2014, è diventata reale, per averne violato i termini. Aleksej Navalny dovrà trascorrere due anni e otto mesi in carcere, in una colonia penale. A modo loro, hanno mostrato clemenza. Il giudice ha deciso di prendere in considerazione l’anno di detenzione domiciliare già scontato per il caso Yves Rocher, e ha ridotto la pena dai 3 anni e cinque mesi originari a 2 anni e otto mesi. Mentre Navalny veniva portato via, i suoi collaboratori convocavano proteste immediate.
Poche ore prima, il suo intervento nell’aula del tribunale era stato un fiume in piena, il “j’accuse” di un uomo che non conosce paura e invita i connazionali a non averne. Fuori dal tribunale di Mosca le forze dell’ordine seguitavano ad arrestare i suoi sostenitori, mentre Navalny sfidava i giudici, chiarendo di non riconoscere un procedimento che lo accusa per una condanna già scontata, e poi riconosciuta come illegittima dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. Poi si è rivolto contro Vladimir Putin, l’«ometto nel bunker» che invece di dedicarsi alla geopolitica passerà alla storia «come Vladimir l’Avvelenatore».
Navalny ha dipinto il presidente russo, in isolamento a causa dell’epidemia, come «un semplice burocratuccio che hanno messo per caso in quel posto, senza partecipare a dibattiti o elezioni. Con un unico metodo, quello di uccidere gente. Abbiamo avuto Alessandro il Liberatore, Jaroslav il Saggio, e ora avremo Vladimir l’Avvelenatore».
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