Quando il presidente cinese, ovvero l’uomo più potente del Mondo (con buona pace di Donald Trump) fa un discorso ufficiale, è normale che tutto venga sezionato e analizzato nei dettagli, fino all’ultima virgola. Compresi i colpi di tosse. Xi Jinping ne ha fatti quattro, forti e secchi, durante la commemorazione dei 40 anni dell’istituzione della Zona economica speciale a Shenzhen, città al confine con Hong Kong, al punto da dover interrompere più volte il suo lungo discorso, durato quasi un’ora. Xi lo ha letto stando sul palco, e non sul podio, come hanno fatto gli altri oratori. E anche questo particolare, questo “tocco” di apparente “semplicità”, è stato notato, e debitamente annotato dai media di tutto il mondo. Così come il fatto che, mentre Xi tossiva, non è mai stato inquadrato dalle telecamere dei media ufficiali, che hanno preferito spostarsi sul pubblico.
È bastato così poco, in tempi di Covid, quattro colpi di tosse, una telecamera che si sposta forse per “pudore reverenziale”, forse per non fornire dettagli, per far partire una ridda di voci e indiscrezioni sullo stato di salute di un uomo che, oltre a determinare i destini del Pianeta, pare possegga un quoziente intellettivo tra i più alti in assoluto.
La visita di Xi a Shenzhen è molto importante, e per molti motivi. Prima di tutto perché è un sonoro schiaffo in faccia alla ribelle e traditrice Hong Kong, ignorata, potremmo dire “snobbata”, dalla dirigenza cinese. L’ex colonia, per Xi e i suoi, è una figlia che ha tradito il padre, ingrata e irresponsabile, manipolata dagli odiati americani e dalla Cia, con l’appoggio degli ex “padroni”, i britannici, e rappresenta tutto ciò che essi odiano di più al mondo: libertà, diritti civili, libertà di stampa e di espressione, un sistema giuridico garantista. In una parola: Democrazia.
Shenzhen invece, quello che fino a qualche decennio or sono era poco più di un villaggio di pescatori, subito oltre il confine (ormai più teorico che reale) con la Cina, dove oggi si contano forse più grattacieli – è più alti – che nella vicina Hong Kong e dove una tessera di socio al locale Club Nautico costa centomila dollari all’anno, rappresenta – sono state le parole di Xi, “una meravigliosa interpretazione del socialismo con caratteristiche cinesi”. “La vibrante Shenzhen” ha detto il presidente cinese “ha mostrato al mondo intero il maestoso potere delle riforme e delle apertura della Cina, e le sue brillanti prospettive”.
Pechino sta da tempo spingendo sulla bilancia a favore di Shenzhen, con un nuovo piano per trasformare la città in un hub di livello mondiale per la finanza, il commercio e altri settori che sono stati a lungo prerogativa di Hong Kong. Nel suo discorso, Xi ha annunciato l’intenzione di trasformare Shenzhen in una “città modello” con industrie innovative e stato di diritto (un’affermazione, questa, tutta da capire), promuovendo una più stretta integrazione di Hong Kong nell’economia continentale. Tra il pubblico risaltava la presenza del capo dell’esecutivo di Hong Kong, la contestatissima governatrice Carrie Lam, la quale, tra feroci polemiche “in patria”, aveva ritardato il suo discorso annuale sulla politica dell’ex colonia, per poter presenziare “Stiamo formando un nuovo modello di sviluppo con il ciclo dell’economia domestica che gioca un ruolo di primo piano”, ha detto Xi.
Il monito per Hong Kong non poteva essere più chiaro: se non hai stabilità, se alimenti i disordini o l’anarchia, allora perderai tutti i vantaggi e le risorse che potresti avere, e il tuo sviluppo economico invertirà la rotta. Il supporto di alto livello espresso chiaramente oggi da Xi a Shenzhen, è un messaggio chiarissimo per Hong Kong.
Shenzhen ha un’importanza particolare e un legame personale per Xi, poiché suo padre svolse un ruolo centrale nella creazione della Zona Economica Speciale della città e di altre analoghe nella provincia del Guangdong, 40 anni prima. ll nuovo piano economico quinquennale di Shenzhen include lo sviluppo di un ambiente di mercato più equo e aperto, che attirerebbe le aziende straniere, ma comprende anche richieste contraddittorie, con inquietanti riferimenti a una “zona pilota socialista”. Nel suo discorso, Xi ha anche promesso il continuo sostegno di Pechino alla cosiddetta “Greater Bay Area, un ambizioso progetto per integrare diverse metropoli meridionali, tra cui Hong Kong, che si affacciano sul vasto Delta del Fiume delle Perle, per formare un motore di crescita regionale che possa rivaleggiare con la Silicon Valley. The Pearl River Delta, un gigantesco e ramificato estuario sul quale si affacciano ormai alcune tra le più grandi, tecnologicamente avanzate e popolose aree urbane della Cina e del Mondo: Guangzhou (l’antica Canton), Shenzen, Zhuhai, Macao, sono solo le principali.
Messi insieme, infatti, i Pil di Hong Kong, con la sua potenza di piazza finanziaria, di Macao, capitale mondiale del gioco d’azzardo, di Zhuhai, di Shenzhen con la sua alta tecnologia e le sue fabbriche – Huawei su tutte – e di Guangzhou, capitale manifatturiera del mondo, valgono la cifra da capogiro di 1,5 trilioni di dollari USA. Un piano che gli attivisti pro-democrazia hanno respinto con forza, vedendo nella Greater Bay Area solo un altro modo per erodere la cultura, lo stile di vita e il valore economico distinti della città, inglobandola in un contesto totalmente “cinese” e – soprattutto – totalmente gestibile e controllabile da Pechino.
Per rendersi conto di cosa sia Shenzhen oggi e soprattutto di cosa intenda Xi Jinping quando parla del “maestoso potere delle riforme e delle apertura della Cina, e le sue brillanti prospettive”, basta entrare nella cittadella industriale dove ha sede Huawei. Una vera e propria “città nella città”. Centinaia di residenze e di palazzi protette da barriere di accesso per le auto e da un efficiente sicurezza interna, che accolgono l’ospite in uno sfarzo ostentato e futuristico, con pavimenti in marmo intarsiati, laboratori avveniristici che ci catapultano nell’era del 5G, otto mega-mense riservate agli oltre 30mila dipendenti, per la gran parte ingegneri e quasi tutti sotto i quarant’anni. Una Disneyland della tecnologia, un luogo che prova – e ci riesce – a distanziare anche i colossi della Silicon Valley. Tutto sottoposto, però, allo stringente ed efficiente dirigismo comunista che controlla e dispone pianificando sviluppo e strategie in modo severamente gerarchico.
Per questo, per avvicinarsi a una visione del futuro di Hong Kong, bisogna arrivare fino all’estrema propaggine del suo territorio; al confine con l’immenso e ingombrante vicino cinese. Bisogna raggiungere un posto che si chiama Lo Wu, dove la distesa di campi punteggia il paesaggio rurale, mescolando il verde delle colture all’azzurro del cielo riflesso nell’acqua delle risaie. Guardando verso Hong Kong, osservando la distesa della città, appaiono i suoi grattacieli vertiginosi, che si elevano sul limitare del paesaggio, all’orizzonte. Dalla parte opposta, la nuova Cina avanza inesorabile. In mezzo sta quest’area rurale, quieta, che appare ormai persino un po’ incongrua. Ci si aspetta di vedere un aratro tirato dai buoi, seguito da un vecchio contadino cinese con il suo largo cappello di paglia. Rappresenta una metafora di quell’ “Altra Cina” rurale, ancora oppressa da una povertà che Xi e il potente Partito Comunista al potere da oltre 70 anni vorrebbero vedere superata una volta per tutte, ma non è una sfida semplice.
Intanto Hong Kong da una parte, e la Cina, la nuova Shenzen dall’altra, premono.
Vicine, ma lontanissime l’una dall’altra
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