La guerra è scoppiata e la Cina si è trovata in una posizione difficile e imbarazzante. Da una parte, infatti, la Cina ha un accordo di partnership strategica globale con la Russia, l’economia cinese e quella russa si compensano a vicenda, sussiste una sorta di mutua interdipendenza. Inoltre, Mosca e Pechino hanno, almeno per ora, le stesse preoccupazioni sul piano della sicurezza, ossia la minaccia da parte di Washington e dei suoi alleati. D’altra parte, però, la Cina sta provando a proiettare nel mondo un’immagine di distributore di bene pubblico, un Paese costruttore e amante della pace che sta tentando di contribuire al villaggio globale in cui noi tutti viviamo. La Russia invece è una potenza globale non tanto per le sue capacità di contribuire costruttivamente, quanto piuttosto per il suo potenziale di distruzione di massa. Questa è la prima fondamentale differenza tra Mosca e Pechino sulla guerra in Ucraina.
Sergej Karaganov, uno dei più importanti analisti strategici in Russia, sostiene che questa guerra costituisce una sorta di attacco guidato dal glorioso e coraggioso popolo russo a questo brutto e controproducente ordine mondiale occidentale. Ma la Cina vuole restare in quest’ordine internazionale. Dal suo punto di vista, l’attuale sistema mondiale si regge su tre pilastri, tutti positivi: il primo è l’ordine politico centrato sull’Onu; il secondo è l’ordine economico-commerciale strutturato attraverso il Wto; il terzo è l’ordine finanziario globale regolato dalla Banca mondiale, dal Fmi ecc. Pechino vuole restare dentro quest’ordine e, perciò, deve riconoscere che, al suo interno, gli Stati Uniti e i suoi alleati rivestono ancora un ruolo molto importante, in molti casi insostituibile. Un declino degli Stati Uniti, in questo momento, non è nell’interesse cinese, anche perché fra le due parti sussiste un’irrevocabile interdipendenza in termini di sviluppo economico. Dal rapporto politico del XX Congresso del Partito comunista cinese si comprende che Pechino vuole mantenere relazioni stabili con Washington.
La posizione cinese verso la guerra. La posizione della Cina è di una neutralità di principio, che può essere riassunta in quattro punti. In primo luogo, Pechino sostiene e difende la Carta delle Nazioni Unite, critica e condanna tutte le violazioni della sovranità nazionale e integrità territoriale, compresa quella dell’Ucraina. In secondo luogo, Pechino sostiene fermamente che la causa originale ed essenziale della guerra tra Russia e Ucraina risiede nella «mentalità da Guerra fredda» degli Stati Uniti e dei suoi alleati, specialmente della Nato. In terzo luogo, la Cina prova a lavorare con le altre potenze, specialmente quelle europee come la Germania, la Francia e l’Italia, per mediare e portare un negoziato di pace. In quarto luogo, last but not least, la Cina mantiene una sorta di normale relazione con l’Ucraina offrendo aiuti di carattere umanitario.
Dal punto di vista cinese, l’intero villaggio globale deve lavorare insieme. Gli Stati europei e la comunità internazionale devono continuare a mantenere la pressione su Putin e il suo gruppo. La Cina ha trasmesso un messaggio molto chiaro, nel settembre 2022, quando Xi Jinping ha trattato con freddezza Putin. È necessario rendere chiaro a tutti che la guerra nucleare è un tabù e che non è assolutamente possibile utilizzare armi nucleari contro il genere umano.
Alle Nazioni Unite, 141 nazioni hanno condannato l’aggressione della Russia. Ma quando gli Usa hanno lanciato un piano totale di sanzioni contro Mosca, solo 40 Paesi, o ancora meno, li hanno seguiti. Nessuno Stato del Sud del mondo si è unito alle sanzioni, come Cina, India, Sudafrica, Brasile ecc. L’atteggiamento del Sud del mondo non è di solidarietà all’Occidente.
Le relazioni tra Cina e Occidente. Per quanto riguarda le relazioni tra Cina e Stati Uniti, penso che la competizione tra i due Paesi sia solo di facciata. La vera e più temibile sfida per entrambi giunge dall’interno e ogni parte utilizza l’altra per esercitare una pressione sul piano interno che le permette di realizzare ciò che altrimenti non sarebbe in grado di fare. Un fattore molto negativo è la grande incertezza politica negli Stati Uniti, che ha condotto al fallimento di tutti gli sforzi fatti per stabilizzare le relazioni. L’amministrazione Biden, nonostante sia molto più razionale rispetto a quella di Trump, non può far altro che mantenere un atteggiamento molto duro nei confronti della Cina, perché solo agendo in questo modo può schivare gli attacchi dell’opposizione.
La Cina ha molti problemi, uno dei quali è che i cinesi non godono di così tanta libertà come i popoli occidentali. Ma la Cina viene in qualche modo demonizzata dalla stampa occidentale. Bisogna migliorare la comunicazione tra la Cina e i Paesi occidentali. È lecito dire che la Cina sia il nemico, che la Cina sia il male. Ma appunto perché si vuole competere con la Cina è necessario comprenderla. La Cina ha avuto molti cambiamenti positivi dal 1978 in avanti, nessuno può negarlo. Il problema dei cinesi è permettere a 1,4 miliardi di persone di vivere felicemente in Cina. Il Partito comunista cinese sta facendo un buon servizio, mantenendo la Cina unita, stabile e prospera.
Le relazioni tra Pechino e Washington peggioreranno ancora prima di poter migliorare, perché democratici e repubblicani sono uniti dalla visione della Cina come minaccia numero uno. Gli Stati Uniti non hanno mai provato cosa significhi essere il «numero due», in quanto sono sempre stati il «numero uno». Dico spesso ai miei amici americani: «chi può comprendere meglio la vostra mentalità? I cinesi!». Questi infatti sono stati il «numero uno» per millecinquecento anni e, improvvisamente, dopo il 1840 e le guerre dell’oppio, hanno toccato il fondo e hanno sofferto il «secolo dell’umiliazione». Negli Stati Uniti c’è un panico inconscio diffuso tra la popolazione che non sa come si possa vivere da « numero due» e non riesce ad accettare questo fatto. Prima che gli Stati Uniti riescano a superare questo tipo di emozione, sarà difficile migliorare le relazioni sino-americane. Tale superamento non può essere determinato dai dirigenti, la società intera deve realizzare che si dovrebbe, si deve e si può coesistere pacificamente con una Cina potenzialmente nella condizione di diventare il «numero uno».
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