La Belt and Road Initiative: tentativo di nuova globalizzazione imperiale sino centrica

by • 15 ottobre 2020 • ESTERI, In evidenzaCommenti disabilitati su La Belt and Road Initiative: tentativo di nuova globalizzazione imperiale sino centrica1092

Nel 2013 il presidente Xi Jinping, con due interventi pubblici all’università di Astana e al parlamento di Giacarta, annunciò la volontà cinese di costruire una rete di corridoi infrastrutturali capaci di migliorare la connettività: in Asia, nel Pacifico, nell’Oceano Indiano, in Europa, in Africa, in Medio Oriente e tra queste aree.

Questa iniziativa ha preso il nome di Belt and Road Initiative (BRI). L’agenzia di stato Xinhua, dopo pochi giorni dall’annuncio pubblicò un documento ufficiale: vision and actions on jointly building silk road economic belt and 21st century maritime silk road, all’interno del quale è presentato il progetto nella sua interezza, le sue finalità e le modalità attraverso cui sarà attuato.

Il progetto nasce prendendo spunto dalla storia cinese e sarebbe “l’abito perfetto da indossare” al fine di perseguire l’obiettivo di ritornare ad essere il centro dell’economia mondiale. Dando questo nome al progetto, la Repubblica Popolare ha scelto di rievocare le rotte che duemila anni fa furono scoperte e utilizzate per collegare le civiltà dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa.

Pechino intenderebbe rianimare quello spirito di pace, di cooperazione e di relazioni economiche win-win che promosse, secoli fa, il progresso della civiltà umana, gli scambi culturali e commerciali tra società di continenti diversi.

La Via della seta è patrimonio comune dell’umanità e i cinesi vorrebbero sfruttare il valore simbolico richiamato da questo riferimento.

Dopo la crisi del 2008, l’economia globale si sta riprendendo lentamente e la crescita stenta a decollare. La Cina vorrebbe utilizzare questo progetto come volano della crescita e come promotore di un mondo di libero mercato, di cooperazione, di sviluppo delle architetture economiche regionali e di relazioni reciprocamente vantaggiose. Partecipare alla Bri sarebbe interesse della comunità mondiale, secondo Xi, in realtà i cinesi starebbero mascherando una strategia geopolitica derubricandola a progetto commerciale ed infrastrutturale.

Sotto il nome di Belt and Road Initiative o One Belt One Road (come la definiscono i cinesi) si cela il più grande progetto infrastrutturale della storia dell’uomo. Secondo stime cinesi costerebbe forse dodici volte il piano Marshall, si tratterebbe di un programma coinvolgente settanta nazioni e il 63% della popolazione mondiale.

Questo piano consisterebbe nella costruzione (talvolta nel potenziamento) di porti, ferrovie, ponti, strade, infrastrutture, gasdotti, corridoi economici, cavi sottomarini e reti 5G al fine di creare un network logistico di collegamenti, utile alla Cina per migliorare le relazioni commerciali e politiche con gli Stati partecipanti.

Questa maestosa opera collegherebbe la Cina all’Africa e agli Stati dell’Eurasia attraverso l’apertura di due rotte: la prima terrestre (Silk Road Economic Belt), e la seconda marittima (Maritime Silk Road).

Le risorse investite lungo la “Via della Seta Marittima del XXI secolo” mirano a creare un collegamento con l’Europa che costeggerebbe tutta l’Asia orientale e meridionale da est a ovest passando per il Mar Cinese Meridionale, l’Oceano Indiano, il Mar Rosso, il Canale di Suez e sfociando infine nel Mediterraneo. La “fascia” della Seta Terrestre (Land Route: The Belt) attraverserebbe su più linee tutta l’Asia Centrale e si estenderebbe dalla Cina fino alla Spagna: le infrastrutture esistenti collegano già Pechino a Berlino e Madrid, sarebbe in fase di studio la possibilità di costruire una linea passeggeri ad alta velocità. L’Italia con la firma del Memorandum of Understanding ha aderito alla Via della seta marittima e Trieste sarà, probabilmente, il porto Mediterraneo di approdo prima del transito delle merci verso il Nord Europa.

La vicinanza con un’infrastruttura di queste dimensioni dovrebbe attirare investimenti (per aree di stoccaggio, siti di trasformazione, industria, servizi commerciali) e concorrere alla diffusione del benessere in aree in via di sviluppo come Asia Centrale, Mongolia ed Asia-Pacifico.

I sei corridoi previsti e le aree interessate sarebbero i seguenti:

• Il Corridoio economico Cina-Mongolia-Russia, partendo da Pechino passerebbe per le pianure mongole e russe per poi arrivare a Mosca e infine a San Pietroburgo sfociando, quindi, nel Baltico;

• Il Nuovo ponte terrestre Eurasiatico, partendo da Urumqi nello Xinjiang e passando per Almaty in Kazakistan, poi per Mosca, per Berlino approderebbe, ad Amburgo e Rotterdam. A questo collegamento è stata aggiunta una nuova tratta che partendo da Shanghai e passando per lo Xi’an arriva fino ad Urumqi. Di fatto, questo nuovo innesto collegherebbe il Mar cinese al Mare del Nord;

• Il Corridoio Economico Cina-Medioriente-Sudovest Asiatico. Questo terzo corridoio ricalca il percorso per cui passava la via della seta originaria. Partendo dalla Cina orientale (Urumqi) e attraversando gli Stan-countries arriverebbe in Medioriente, a Teheran e fino ad Istanbul;

• Il Corridoio economico Cina-Pakistan, dallo Xinjiang percorrerebbe la strada del Karakorum, continuando il viaggio a sud ovest passerebbe per Islamabad per poi proseguire fino al Belucistan approdando infine al porto di Gwadar nell’Oceano Indiano;

• Il Corridoio economico Bangladesh-Cina-India-Myanmar, partirebbe da Guangzhou per passare a Kunming, poi a Mandalay quindi biforcarsi. Una via arriverebbe a Yangon in Myanmar, mentre l’altra, passando per il Bangladesh, si dirigerebbe in India, destinazione Bangalore;

• Corridoio economico Cina-Indocina partendo da Nanning si dirigerebbe a sud passando per il Vietnam e per la Malesia giungendo, infine, a Singapore;

La Via della seta marittima, partendo da Shanghai, si dirigerebbe verso il Mar cinese meridionale per poi arrivare in Indocina e passando per lo stretto di Malacca, per lo stretto di Palk, per lo stretto di Bab el Mandeb, per il canale di Suez arriverebbe nel Mediterraneo.

Il porto principale nel Mediterraneo che i cinesi useranno come piattaforma sarà il Pireo, controllato da Cosco (gigante cinese dello shipping). Potrebbero diventare importante anche Trieste e Vado ligure come punto di transito per le merci dirette in nord Europa. La via marittima prosegue, passando per Gibilterra, nell’Atlantico e raggiungendo sfocerebbe nel pacifico, per poi fare ritorno a Shanghai.

Oltre alle rotte marittime e terrestri il governo cinese ha concepito una Via della Seta artica. La possibilità di far passare una rotta così a nord si è palesata negli ultimi anni a causa del surriscaldamento globale e del conseguente scioglimento dei ghiacci. Dovrebbe divenire percorribile a partire dai prossimi decenni. Questa nuova situazione è un inedito storico e le navi cinesi la sfrutterebbero raggiungendo i porti del nord Europa passando attraverso l’oceano artico piuttosto che passando per le vie convenzionali, con un risparmio di tempo stimato pari al 25%. La Cina sta incontrando, tuttavia, problemi nella realizzazione del progetto sia perché questa rotta sarebbe percorribile solo un paio di mesi all’anno, sia perché la nazione non ha le tecnologie necessarie per la navigazione artica ma soprattutto perché dovrebbe passare per le acque territoriali giapponesi e russe.

Sfruttando queste nuove rotte, la Cina potrebbe diminuire la dipendenza da quelle presidiate dagli Stati Uniti. I percorsi polari sono due: il passaggio a nord est, a nord della Russia, che permetterebbe di giungere più velocemente a Rotterdam; e il passaggio a nord ovest, che passerebbe a settentrione rispetto al Canada.

Pechino ha da tempo messo in atto una politica di acquisizioni di infrastrutture portuali raddoppiando gli investimenti da 9,97 miliardi di dollari a 20 miliardi di dollari, con una accelerazione sulle rotte artiche.

Dal 2012 al primo semestre dello scorso anno, la Cina ha investito 89,4 miliardi di dollari nello sviluppo dell’area polare, confermando il proprio ruolo di primo piano nella regione.

La Repubblica Popolare ha condotto otto spedizioni scientifiche nell’Oceano Artico e ha fondato nel 2003 una base di ricerca nell’isola norvegese di Svalbard.

Nella sua volontà di sfruttamento delle risorse polari, la Cina potrebbe tuttavia incontrare alcuni ostacoli di tipo burocratico e strategico.

Il ruolo che Pechino potrebbe ricoprire nell’Artico dipenderà molto dal rapporto con la Russia
che controlla il passaggio a nord-est, la Cina avrebbe bisogno del sostegno infrastrutturale di Mosca per realizzare questi progetti . Bisognerebbe inoltre tenere presenti le convenzioni internazionali degli otto Paesi membri dell’Artic Council (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti) e tenere conto dei trattati internazionali che si applicano all’Artico nonché delle dispute territoriali ancora irrisolte.

Tuttavia, la Cina pianifica in maniera innovativa e in grande, cercherà di portare a termine un progetto di cooperazione internazionale finalizzato alla creazione di una rotta, dello sviluppo infrastrutturale, delle risorse energetiche e turistiche nell’Artico. Qualora venisse realizzato sarebbe utile alla Cina per diminuire la dipendenza da Malacca nonché per migliorare il collegamento logistico necessario allo sfruttamento delle risorse dell’area.

Oltre la logistica le Nuove Vie della Seta avrebbero lo scopo di promuovere la connettività dei continenti asiatico, europeo e africano e dei loro mari adiacenti, stabilendo e rinforzando partnership tra i paesi attraversati dal network, promuovendo la cooperazione e lo sviluppo sostenibile.

L’iniziativa porterebbe investimenti, creerebbe posti di lavoro ed espanderebbe il mercato interno, inoltre incrementerebbe il numero di scambi culturali tentando di creare una piattaforma su cui sviluppare migliori rapporti di fiducia reciproca, pace ed armonia.

Il progetto darebbe la possibilità alla Cina di espandere i propri mercati e rafforzare la mutua cooperazione con gli Stati dell’Asia, dell’Europa e dell’Africa. I principi su cui questo programma si basa sono quelli del rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale degli Stati, di non aggressione, di non interferenza negli affari interni, di uguaglianza e di coesistenza pacifica.

Gli obiettivi che l’iniziativa si pone sono: aumentare l’influenza geopolitica della Cina provando a porla al centro dell’ordine globale, costruire infrastrutture digitali e non, esportare standard tecnici comuni, assicurare la sicurezza energetica, aumentare la domanda di prodotti cinesi, aumentare lo scambio delle informazioni dal punto di vista scientifico e tecnologico, eliminare le barriere tariffarie e non, migliorare la cooperazione finanziaria di concerto con la Aiib, la Ndb, la Sco, aumentare l’internazionalizzazione dello yuan e l’integrazione delle economie dei paesi firmatari.

Parlando più generalmente, la Cina con la Belt and road Initiative vorrebbe connettere le province esterne al nucleo geopolitico cinese, promuovendo lo sviluppo domestico e aumentando il controllo sullo Xinjiang, sul Tibet e sulle aree rurali. Come espresso nel sogno cinese di Xi, tutti debbono spingere dalla stessa parte, anche le aree meno sviluppate del paese.

Per mantenere la promessa di far uscire tutti i cinesi dalla povertà, sarà fondamentale sviluppare le aree meno ricche della Cina. Allo scopo di rendere più abbienti i cittadini cinesi, la crescita trainata dalle esportazioni dovrà continuare. A questo fine le Nuove Via della Seta saranno utilissime per aprire nuovi mercati ai prodotti cinesi e creare nuove opportunità di business abbattendo il tempo di trasporto di beni da Pechino all’Europa. I collegamenti interni al Paese dovrebbero promuovere lo sviluppo del mercato interno cinese, obiettivo che Pechino persegue al fine di diminuire la dipendenza dalla crescita trainata dalle esportazioni. Cittadini più ricchi sarebbero funzionali all’aumento della domanda interna di cui la Cina ha bisogno per stimolare la crescita economica.

Dal punto di vista geopolitico, la Cina dovrebbe espandere e rendere capillare la propria presenza economico-militare. Oltre a portare capitali cinesi nei paesi aderenti alle Nuove Vie della Seta, gli investimenti dovrebbero obbligare la Cina a schierare contractors e militari di professione a difesa dei progetti, incrementando esponenzialmente il numero di centri di sicurezza, conseguentemente Pechino vedrebbe aumentata a dismisura la propria esposizione militare.

Portando a termine con successo il progetto, la Cina potrebbe acquisire molti porti dell’Oceano Indiano e del Mediterraneo, il cui controllo è nevralgico al fine di muovere, riparare e far sostare le proprie navi di guerra in teatri in cui le imbarcazioni cinesi sono state viste di rado. Gli Stati Uniti controllano le rotte commerciali mondiali e la Cina dovrebbe ribilanciare questo rapporti di forza.

Lo scopo principale della Nuova Via della Seta terrestre sarebbe la creazione di una globalizzazione continentale alternativa a quella marittima statunitense. Per tornare ad essere il centro dell’economia globale la Cina avrebbe bisogno di diventare il punto nevralgico degli scambi commerciali globali e per farlo sviluppa collegamenti veloci via terra. Passando per i colli di bottiglia come Malacca, Bab el mandeb, Bali e Lombok, Suez sono esposte al controllo americano e gli Stati Uniti con la loro flotta potrebbero ostruire alla Cina l’utilizzo di queste rotte in caso di conflitto. È anche per aggirare questo strangolamento che i cinesi hanno ideato questo immenso progetto.

Gli imperi si fondano anche sui legami economici che lo Stato principale intrattiene con gli altri. I cinesi vogliono legare a sé i paesi dell’Eurasia indebitandoli nei propri confronti. Il solo fatto di sottoscrivere contratti a lungo termine, lega fortemente gli Stati firmatari a Pechino: qualora questi investimenti non dovessero essere ripagati, Pechino avrebbe il diritto di utilizzare l’infrastruttura per i prossimi novantanove anni.

La Repubblica Popolare rende di fatto gli stati firmatari dei suoi progetti azionisti di minoranza della “Cina SPA”. Questi legami sono di fondamentale importanza per incrementare la presenza e il ruolo nel mondo della Repubblica Popolare, riesumando quel “sistema imperiale di tributi” che vedeva al centro Pechino.

Le Nuove Vie della Seta sembrerebbero essere il progetto ideale per far tornare la Cina ad essere “l’impero del centro”, di nome e di fatto.

La Cina non intrattiene buoni rapporti con la maggior parte dei propri vicini, per cambiare questo status ha bisogno di porsi come stato benefattore, distributore di beni pubblici internazionali e portatore di investimenti, tecnologie e infrastrutture appetibili.

Le Vie della Seta in questo senso hanno la finalità di migliorare i rapporti coi vicini improntandoli alla cooperazione e basandoli su situazioni win-win. Proporsi come portatori di sviluppo potrebbe essere una leva importante da utilizzare per incrementare l’appeal del Soft power cinese. Allo stesso tempo per conseguire risultati e difenderli Pechino avrebbe bisogno di dispiegare forze di sicurezza e militari lungo la Via della Seta esercitando quindi anche Hard power, e lo Smart power. Con il suddetto termine i suoi teorici, Nye e Nossel, intendono quel potere di attrazione, appannaggio delle Potenze che riescono a convincere altri attori del sistema internazionale a difendere i propri interessi nazionali. Lo Smart Power nasce dalle esigenze di rinnovamento della dottrina del liberalismo internazionalista, Nye sostiene che il modo migliore per gli Stati Uniti di affrontare le sfide globali sarebbe utilizzare, combinatamente, gli strumenti della forza militare, dell’influenza, della diplomazia, del commercio, degli aiuti allo sviluppo e dei valori americani. Questa nuova dottrina implica la presa di coscienza dei limiti del potere americano ed enfatizza la necessita di cooperare con gli Stati, bilateralmente e in seno alle Istituzioni internazionali, al fine di perseguire gli interessi nazionali americani in un mondo che è troppo grande e troppo caotico per essere controllato da Washington. Questo potere intelligente è stato utilizzato dall’amministrazione Obama, strategia del Leading from Behind. I cinesi dovrebbero fare tesoro di questo insegnamento e utilizzarlo per gestire al meglio i rapporti con gli Stati parte del progetto della Via della Seta e non solo.

I progetti delle Vie della Seta, presi uno per uno, sono strumenti utili a perseguire gli interessi cinesi e presi nel loro insieme sono complementari al raggiungimento dell’obiettivo principale che la Cina si è prefissata.

Per esempio, il Made in China 2025, tendendo a migliorare le capacità manufatturiere dell’industria cinese, avrebbe bisogno della Belt and Road Initiative al fine di migliorare la connettività per mezzo della quale trasportare manufatti.

La riforma delle forze armate, quella tecnologica e quella spaziale sono tutte funzionali all’ascesa a superpotenza. Se le Vie della Seta dovessero naufragare, la Cina non avrebbe dei centri da cui proiettare questa rinnovata potenza, avrebbe meno partner a cui vendere i frutti del progresso tecnologico, avrebbe rapporti peggiori con i paesi che guarderebbero a Pechino per acquistare sistemi di sicurezza, servizi digitali e servizi satellitari.

Se la Belt and Road non funzionasse, la Cina non potrebbe garantire, a medio lungo termine, alle gigantesche imprese controllate dallo Stato di continuare a crescere a questi ritmi, non potrebbe smaltire il surplus produttivo e non potrebbe rendere più ricchi i cinesi. La realizzazione del progetto in questione sarebbe fondamentale per mettere in sicurezza gli approvvigionamenti energetici e delle risorse di cui Pechino ha fortemente bisogno per continuare a crescere. Nuove rotte controllate dai cinesi ridurrebbero la dipendenza da quelle controllate dagli americani evitando la possibilità di rimanere strangolati da eventuali occlusioni di stretti e canali.

L’istituzione dell’Aiib e della Ndb sono necessarie alla creazione di un sostegno economico dei grandi progetti che la Cina intende perseguire. Le due banche rappresentano dei mezzi per promuovere la cooperazione multilaterale e la promozione delle opere infrastrutturali in Asia, per favorire l’aumento di investimenti, del volume del commercio e degli scambi tra i paesi dell’area.

Potrebbero altresì incoraggiare un gran numero di Paesi a entrare nella Via della Seta, anche Stati non asiatici che desiderano investire in progetti connessi a queste ultime. Avendo centri studi, banche dati e promuovendo ricerche potrebbero fornire un sostegno intellettuale alla Via della Seta che necessita di un know-how di ultima generazione per essere realizzata. Le banche sosterrebbero la Belt and Road finanziandone i progetti e facendo incontrare domanda e offerta di capitali.

La banca infrastrutturale asiatica è un’istituzione finanziaria multilaterale e come tale può assumersi un rischio maggiore rispetto alle banche commerciali, grazie all’elevata condivisione del rischio tra i paesi contraenti e altri partner finanziari. La banca ha in comune con il progetto delle vie della seta uno degli scopi ossia l’obiettivo di rendere maggiormente prospere nazioni e popoli, inoltre starebbe acquisendo l’esperienza tecnica necessaria per rendere il progetto della Bri una realtà tangibile.

Queste riforme e progetti servirebbero tutti al raggiungimento dello status di superpotenza entro il 2049. Al perseguimento di questo obiettivo geopolitico i cinesi dovrebbero subordinare tutti gli altri. La Via della Seta è un progetto mastodontico e nella sua realizzazione la Cina sta incontrando una serie di criticità e di problemi che potrebbero compromettere la buona riuscita dell’iniziativa. Dal 2017, gli Stati Uniti hanno iniziato a contrastarlo attivamente, imponendo dazi commerciali e provando a offrire un’alternativa agli investimenti cinesi ai paesi beneficiari. Anche l’Unione Europea nel suo insieme ormai monitora la penetrazione economica cinese.

Alcuni paesi partner, come Malesia, Myanmar e Pakistan, hanno rinegoziato o cancellato gli accordi stipulati per non incappare nella trappola del debito che potrebbe creare dipendenza nei confronti della Cina.

Xi ha risposto a questo problema riducendo i prestiti commerciali e aumentando la collaborazione tra imprese private, pubbliche e promuovendo gli investimenti diretti esteri. L’espansione e il dispiegamento all’estero di unità dell’esercito e contractors è visto con sospetto dagli altri paesi. Tuttavia, gli investimenti cinesi aumentano e i progetti rinegoziati sono pochi in confronto a quelli mantenuti.

Stati Uniti, Giappone e Australia potrebbero proporre progetti infrastrutturali alternativi (ed hanno tentato di farlo) però non hanno né la portata né tantomeno i volumi di capitali necessari per competere con la Via della Seta.

La regione in cui le Vie della Seta stanno riscontrando problemi maggiori è il Sud Est Asiatico dove le tensioni geopolitiche e il rischio di trappola del debito sono paure che si autoalimentano. La Malesia è il primo paese ad aver cancellato alcuni investimenti cinesi per evitare di incappare nella trappola del debito, programmi come l’East Coast Rail Link, linea ferroviaria che avrebbe dovuto collegare la Thailandia e la Malesia.

Non solo nel Sud Est Asiatico la Cina ha riscontrato difficoltà, ma anche in Pakistan, dove i separatisti del Belucistan e altri gruppi stanno provando a bloccare la realizzazione del corridoio economico Cina-Pakistan (importantissimo per ridurre la dipendenza da Malacca).

A questo fattore si deve aggiungere la fragile posizione economica del Pakistan che detiene un alto debito pubblico, un grande deficit commerciale e le cui riserve in valuta estera si assottigliano tanto da spingere il paese a chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale per la rinegoziazione del progetto.

Portare a termine la costruzione del corridoio sino-pakistano è fondamentale per la Cina, Pechino ha quindi accettato di rinegoziare i termini del progetto riducendo il budget stanziato precedentemente per la costruzione della ferrovia Karachi-Peshawar. I due paesi hanno firmato una quindicina di accordi di cooperazione al fine di ridurre povertà, migliorare la resa agricola e introdurre tecnologie di nuova generazione.

In Myanmar gruppi armati locali si sono scontrati con l’esercito birmano, mettendo a rischio la costruzione del corridoio infrastrutturale finalizzato a collegare il porto di Kyaukphyu e allo Yunnan. Il premier birmano vorrebbe evitare la trappola del debito riducendo del 60% il costo del progetto.

In Thailandia si sta valutando la fattibilità sottesa alla realizzazione del canale di Kra che taglierebbe l’istmo, situato a sud, dello Stato collegando di fatto il mare delle Andamane al golfo di Thailandia. Questo progetto avrebbe bisogno di dieci anni per essere realizzato con un costo stimato di 30 miliardi di dollari, ma sarebbe estremamente importante per la Cina, perché migliorerebbe i rapporti con la Thailandia facendole godere dei benefici condivisi conseguenti alla valorizzazione della rilevanza strategica di Bangkok nei flussi commerciali tra est e ovest.

Nell’Oceano Indiano, la Cina starebbe tentando di attrarre Sri Lanka e Maldive nella propria sfera d’influenza, sottraendole a quella indiana. Tutti e due i paesi soffrono il peso del debito e le pressioni esercitate da Nuova Delhi. Se i cinesi riuscissero anche solo a far adottare una posizione di equidistanza a questi due paesi tra sé e l’India sarebbe un successo, ma ci sono gruppi nell’area che osteggiano fortemente questo progetto, tanto da aver fatto ricorso al terrorismo.

Una parte nevralgica del progetto riguarda lo Xinjiang, la parte più occidentale della Cina a prevalenza di etnia turca e di fede musulmana. Il partito sta tentando di integrare gli uiguri e di farli sentire parte della Cina e non “cittadini di serie b”.

Lo Xinjiang è la finestra cinese sull’asia occidentale e sugli Stan-countries, qui risiede il più grande centro logistico della via della seta, uno dei progetti principali è il Southern Xinjiang Railway che partendo da Kashgar connetterebbe la regione con il corridoio sino-pakistano.

Dal 2016, La Repubblica Popolare ha fatto grandi investimenti di sviluppo nell’area, ma senza buoni riscontri, visto che i pochi benefici si sono concentrati solo nella parte urbana della regione.

Gli Uiguri avrebbero dovuto essere i beneficiari del provvedimento, ma essendo concentrati nell’area rurale dello Xinjiang del sud, tra Kothan e Kashgar, non hanno potuto goderne a pieno. Come risultato, le tensioni fra gli han e gli uiguri sono diminuite meno di quanto Pechino auspicasse. Nella condizione attuale, investire nella zona non sarebbe un buon business; gli investimenti precedentemente pianificati sono stati ridotti.

La Cina accusa i militanti uiguri di essere terroristi e di incitare il paese alla violenza. Dal punto di vita cinese, questo giustifica la campagna repressiva intensificatasi negli ultimi anni sotto la guida di Chen Quanguo, che già aveva riportato l’ordine nel Tibet. Migliaia di cittadini uiguri sono detenuti in campi di rieducazione per futili motivi. Questo interesse per l’area è motivato dal fatto che lo Xinjiang sarebbe nevralgico per attuare il progetto delle Vie della Seta e allo stesso tempo i programmi di sviluppo dello stesso servono ad integrare lo Xinjiang nella grande Cina; integrando l’area turcofona al nucleo geopolitico del paese.

Il governo di Pechino sta facendo molti sforzi per assicurarsi che i Paesi coinvolti nella via della seta non assumano posizioni ostili alla politica cinese nello Xinjiang, invitandone i rappresentanti nei campi di rieducazione, sostenendo che lì si svolgano attività di formazione gratuita. In realtà, in questi campi gli uiguri vengono sottoposti a una cinesizzazione culturale dovendo imparare canzoni, cultura e storia cinese. Per ottenere dei risultati nell’area, Pechino dovrebbe probabilmente, applicare un programma di investimenti agricoli, finalizzati a migliorare le condizioni degli uiguri per intercettarne il consenso, integrandoli finalmente nella grande Cina e nel sogno cinese.

Portare a termine un progetto del genere è più complesso soprattutto quando ci sono Stati, gruppi di interesse e popoli che avversano l’iniziativa.

Le problematiche che la Cina sta incontrando sono diversificate e di difficile risoluzione ma i cinesi sono determinati e con la loro proverbiale pazienza tenteranno di trovare delle risposte.

Un altro dei problemi è la presenza militare e commerciale americana lungo la Via della seta e nel Pacifico. La Via della Seta inoltre soffre dell’inaffidabilità del trasporto merci attraverso gli Stan-countries i quali avendo istituzioni poco trasparenti e stabili si presentano di difficile attraversamento. Per ovviarvi, Pechino potrebbe proiettare le proprie capacità militari oltreconfine, ma per farlo dovrebbe rinunciare alla propria postura di non interferenza negli affari di paesi terzi dichiarata nella conferenza di Bandung del 1955. La Cina starebbe iniziando a capire che per portare a termine il proprio progetto dovrebbe accettare la prospettiva di schierare truppe tempestivamente laddove gli interessi strategici cinesi lo richiedano.

L’unica base militare che la Cina possiede all’estero è quella a Gibuti, da cui ufficialmente combatte la pirateria somala e vigila sullo stretto di Bab el Mandeb. Dovrebbe svilupparne altre per aumentare la propria capacità di proiezione.

Un altro teatro delicato per la realizzazione del progetto è il corridoio di Wakhan, in Afghanistan nelle alture del Pamir, confinante con la Cina e da cui si potrebbe proiettare forza militare garantendo un centro logistico utile alla causa della lotta al terrorismo uiguro e talebano. Da questa posizione la Cina avrebbe un punto di osservazione privilegiato per garantire la sicurezza del China- Pakistan Economic Corridor (CPEC), una tappa fondamentale lungo la nuova Via della seta. Non solo, da qui Pechino potrebbe meglio controllare la situazione lungo i suoi confini, potendo monitorare da vicino le azioni di gruppi islamisti che nutrono e alimentano sentimenti anticinesi.

La Cina di Xi Jinping si trova ad un bivio: se da un lato il mondo guarda con stupore e interesse alla Belt and Road, dall’altro è necessario che il Partito comunista cinese comprenda che la possibilità di un impiego delle proprie forze militari all’estero potrebbe essere una necessità inderogabile per tutela dei propri interessi.

Dal punto di vista geopolitico, Pechino avrebbe bisogno di un sistema di sicurezza capillare a livello globale con basi militari in tutto il mondo. Gli ostacoli sono molteplici: in primis, la renitenza degli Stati che le ospiterebbero e la contrarietà delle altre potenze che avrebbero interesse a mantenere nel mondo i rapporti di forza attuali e che interpreterebbero la proliferazione di basi cinesi come il segnale inequivocabile di una notevole aggressività pechinese.

Al momento, ancora incerta sul da farsi, Pechino sta facendo ricorso ai contractors, ma sa bene che questa non è una strada agevole nel lungo periodo. In realtà i media cinesi hannoipotizzato la costruzione di basi militari in Afghanistan, in Pakistan, nello Sri Lanka, nelle Maldive e a Vanuatu ma le voci sono state smentite dal governo.

Dal 2006 in poi la Cina ha incrementato le attività di mediazione nei conflitti in atto nell’area dell’Asia occidentale, impiegando contractors che nella maggior parte dei casi sono ex membri delle forze armate cinesi. Sarebbe forse necessario un maggiore dispiegamento, perché nel caso in cui una parte del progetto finisse ancora di più nel mirino dei terroristi, i lavoratori cinesi sarebbero in pericolo e andrebbero difesi.

Oltre ai problemi causati da gruppi avversi alla Cina c’è un’ampia gamma di questioni culturali ed economiche.

Molti Stati esprimono spesso ostilità, abituati all’introversione della Cina, abbandonata per dar conto ad un ambizioso programma pubblico di investimenti. La Via della Seta è il marchio del cambiamento della Cina. Alcuni paesi l’hanno salutata con gioia, Pakistan e Myanmar, ma paesi come India, Stati Uniti, Giappone la avversano fortemente. Ci sono zone in rivolta e paesi chiave per la riuscita del progetto che sono in forte contrasto tra di loro come Israele, Arabia e Iran che competendo per il dominio in Medioriente aumentano la pericolosità dell’area.

Il programma ha dei detrattori anche fra i cinesi soprattutto tra chi demonizza la fuoriuscita di capitali e l’utilizzo delle riserve monetarie nazionali.

Dal punto di vista finanziario il regime sta vivendo una leggera flessione rispetto al 2013, quando l’iniziativa era stata pensata. Il rallentamento della crescita economica, il boom della spesa pensionistica e altre dinamiche potrebbero far diminuire il flusso di capitali necessario per finanziare le Vie della Seta. Le riserve in valuta estera cinesi si sono ridotte e la congiuntura economica mondiale è cambiata, importanti fughe di capitali sono state aggravate dai dazi imposti dagli Stati Uniti. I suddetti dazi creano problemi anche alla bilancia dei pagamenti, riducono le esportazioni cinesi negli Stati Uniti e nel mondo e creano incertezza nei mercati causando fughe di capitali. Il deteriorarsi della bilancia dei pagamenti costringerebbe l’impero del centro a usare le sue riserve soprattutto per difendere lo yuan e per preservare la fiducia degli investitori sulla stabilità dei parametri microeconomici della Repubblica Popolare. Questa overview economica relativamente negativa è stata confermata dal ministro Liu Kan che ha esortato a ridurre le spese amministrative. Sembrerebbe iniziare a prendere piede l’austerity anche a Pechino visto il declino delle entrate fiscali e la minor crescita.

Il problema cardine è il rapido invecchiamento della popolazione: per sostenere la spesa pensionistica Pechino ha dovuto iniettare liquidità. Tagli potrebbero interessar la Belt and Road Initiative, quindi suscettibile di una revisione dato che i problemi interni stanno aumentando. Come dice Minxin Pei: “togliere i soldi ai pensionati cinesi per costruire una strada che va in terre distanti ha senso?”.
Il progetto della Via della Seta ha ricevuto critiche da molteplici direzioni per la mancanza di trasparenza, la corruzione e i rischi geopolitici. Pechino ripone fiducia nell’iniziativa e ha tentato di ricalibrarla al fine di renderla più appetibile per gli Stati firmatari risolvendo le criticità evidenziate dai detrattori. Xi, durante il secondo forum della Belt and road Initiative, ha sottolineato la necessità di garantire trasparenza e di non tollerare la corruzione e per dimostrare quanto il progetto abbia già conseguito ha voluto pubblicare una lista di risultati raggiunti. Questi includono iniziative proposte da Pechino, accordi bilaterali e multilaterali con i paesi partner in diversi settori (infrastrutture, finanza, energia, istruzione, eccetera).

Con questo tentativo, Xi ha provato a rilanciare la narrativa della Via della Seta puntando su quanto di buono già è stato fatto. Di affari concreti conclusi se ne possono annoverare molti per una cifra intorno ai 64 miliardi di dollari.

Per fugare i dubbi sulla sostenibilità finanziaria degli investimenti il Partito comunista ha istituito un meccanismo per valutare la fattibilità finanziaria con l’idea di rassicurare i partner, rendendo più trasparente il processo che va dalla firma dei contratti al conseguimento del progetto.

Con questo approccio, Pechino intenderebbe allontanare le critiche piovute sul progetto e calmare i partner che erano preoccupati dell’influenza politica acquisita dalla Cina sui paesi economicamente fragili.

Nel suo discorso di apertura al secondo summit della Belt and Road, Xi ha posto l’attenzione sulla difesa del multilateralismo, sulla cooperazione, sull’apertura, sullo sviluppo sostenibile, sugli “investimenti verdi”, sulla battaglia contro la corruzione.

Lanciando la Integrity Silk Road Beijing Initiative, Pechino si impegna a raggiungere elevati standard di sostenibilità e a far rispettare le regole delle nazioni ospitanti le imprese. Gli scopi che Xi ha assegnato al progetto della Via della Seta sono aumentare l’occupazione, migliorare la vita delle persone e contribuire allo sviluppo economico e sociale con l’obiettivo finale di creare un’interconnessione che garantisca prosperità alla comunità mondiale. La Repubblica Popolare auspicherebbe il coinvolgimento europeo anche a livello di investimenti per la realizzazione della Via della seta ferroviaria, digitale e interessi comuni dei paesi di transito di partenza e di approdo. La Cina cercherà la cooperazione dai suoi partner. La digitalizzazione e l’industria 4.0 sono due pilastri su cui fondare lo sviluppo tecnologico lungo le vie della seta, Pechino promuoverà l’istituzionalizzazione di scambi scientifici e tecnologici, di laboratori congiunti e il trasferimento tecnologico delle informazioni.

Xi ha lanciato il programma “Care for Children” e i principi verdi per gli investimenti provando a rendere più appetibile l’iniziativa delle Vie della Seta anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale. La prima parte del discorso si rivolgeva ai partner internazionali, la seconda invece ai connazionali sottolineando come il sogno cinese andasse portato a termine e nonostante gli ottimi risultati ottenuti ci fossero ancora “montagne di fronte da scalare”. Una volta che il popolo cinese avrà “raggiunto la vetta” potrà godere delle conseguenze degli sforzi fatti.
Nonostante tutte le sfide e tutte le problematiche menzionate, la Via della Seta andrebbe portata a termine e Xi è determinato a farlo: i primi effetti del progetto a livello finanziario si sono visti nel 2015 quando la Cina è divenuta esportatrice netta di capitali, grande cambiamento per il Paese che per anni li ha importati. Non ci si può fermare a metà del guado, la Cina dovrebbe portare a termine la maggior parte del progetto il prima possibile.

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