Israele-Hamas. Perché l’attacco, perché ora?

by • 1 novembre 2023 • ESTERI, In evidenzaCommenti disabilitati su Israele-Hamas. Perché l’attacco, perché ora?165

Cosa è successo?
Alle 6.30 del 7 ottobre, il gruppo terrorista islamico palestinese Hamas sferra a Israele dalla Striscia di Gaza l’attacco più massiccio degli ultimi decenni. Vengono lanciati fra i 2.500 e i 5mila razzi, che colgono di sorpresa i soldati: nella confusione, decine di miliziani superano il confine a bordo di deltaplani, mentre altri 400 con l’esplosivo aprono nella barriera varchi per il passaggio di moto e veicoli. Nei primi scontri centinaia tra soldati e civili sono uccisi o catturati. Una cinquantina di miliziani fa irruzione in un rave party, nel deserto del Negev, uccidendo almeno 260 persone e rapendone decine. Israele bombarda la Striscia, decreta lo stato di guerra e richiama 300mila riservisti in vista di un attacco via terra. Annuncia un “assedio completo” di Gaza con il taglio delle forniture di acqua, cibo, carburante ed elettricità.

Perché l’attacco adesso?
L’obiettivo dichiarato per l’apertura del conflitto è la liberazione dei luoghi santi islamici e l’indipendenza dei Territori palestinesi. Ma le ragioni sono evidentemente altre: sono in corso trattative tra Israele e Arabia Saudita per un allargamento dei cosiddetti Accordi di Abramo del 2020 che, sponsorizzati dagli Stati Uniti di Trump, hanno aperto o riavviato canali diplomatici tra lo Stato ebraico ed Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan. Riad punta a isolare proprio Teheran e integrare nella regione la sua economia post-petrolifera. D’altra parte, uno dei temi sul tavolo sono le concessioni che Israele dovrebbe fare all’Anp dell’87enne Abu Mazen per riprendere le trattative di pace. Tutto questo è inviso ad Hamas (e ai suoi alleati).

Che cos’è Hamas?
Hamas è un’organizzazione palestinese di estremismo islamico considerata terroristica da Israele ma anche da Unione Europea e Stati Uniti. Il suo braccio militare sono le Brigate Ezzedin al-Qassam. Fondata nel 1987 sotto la pressione della prima intifada per combattere con atti di terrorismo lo Stato di Israele, di cui invoca la distruzione, ha rivendicato numerosi attentati suicidi contro civili e, dal 2011, ha più volte attaccato Israele con razzi. Nella Striscia di Gaza Hamas si è guadagnata popolarità gestendo programmi sociali quali ospedali, scuole e biblioteche, ma negli ultimi anni suscita malcontento. Lo Statuto di Hamas propone il ritorno della Palestina alla sua condizione precoloniale con l’istituzione di uno Stato palestinese. Dal 2007 il presidente palestinese Mahmud Abbas ha messo fuorilegge le milizie di Hamas. Hamas gode delle simpatie dell’Iran e del Libano.

Qual è la situazione attuale nei territori palestinesi e in Israele?
L’Autorità nazionale palestinese al momento è debole e screditata, le componenti radicali di Hamas puntano ad assumere il controllo anche della più vasta, popolata e ricca Cisgiordania e i leader del gruppo non si trovano nella Striscia di Gaza: questo significa che, seppur l’attacco sia stato sferrato da quei territori, la ritorsione israeliana finirà comunque per giocarsi ingiustamente sulla pelle dei civili palestinesi. Dall’altra parte anche Israele si trova in un momento delicato della sua storia: la riforma della giustizia voluta dal premier Netanyahu ha spaccato il Paese negli ultimi mesi, provocando perfino un’inedita frattura nelle Forze armate, e anche se il Paese s’è subito ricompattato attorno al suo leader (tutti i soldati hanno risposto alla chiamata e l’opposizione ha offerto un patto di unità nazionale) la tregua interna potrebbe durare poco ed essere anzi aggravata dalla crisi.

Dalla Russia ai Sauditi: chi sta con chi?
L’Iran sostiene la “resistenza palestinese” e Hamas con aiuti economici e militari. Il Paese ha plaudito all’attacco. Vicini alle posizioni di Hamas anche il Libano (il capo di Hamas Ismail Haniyeh era a Beirut lo scorso aprile) e il Qatar, che finanzia la sopravvivenza della Striscia. Sul fronte anti-iraniano gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Marocco e la Giordania, che hanno siglato nel 2020 gli Accordi di Abramo con Israele. Ad essi potrebbe unirsi l’Arabia Saudita, avversaria di Teheran nella guerra tra fazioni in Yemen. A fianco di Israele sono schierati gli Stati Uniti. L’Unione Europea ha condannato gli attacchi di Hamas. L’Egitto si è proposto come mediatore. Osservatore interessato la Russia: lunedì il ministro degli Esteri Lavrov, incontrando a Mosca il segretario della Lega Araba, ha detto che in Medio Oriente l’attuale status quo non è sostenibile.

Cosa può succedere sul fronte economico?
La guerra accende nuove tensioni sui mercati, in particolare quello energetico. Lo scontro coinvolge, anche se indirettamente, due dei maggiori esportatori di petrolio del pianeta: l’Arabia Saudita, che produce circa il 15% dell’export mondiale di petrolio, e l’Iran, che oggi è solo il quattordicesimo maggiore esportatore ma era sulla strada di un recupero grazie all’allentamento delle sanzioni. Le quotazioni del petrolio sono già balzate del 5% nelle prime ore di scambi dopo l’inizio del conflitto, tornando verso i 90 dollari al barile. Una nuova fiammata dei prezzi dell’energia, capace di ridare slancio anche all’inflazione, rappresenterebbe una minaccia pesante per un’economia globale che vive già una fase di crescita piuttosto debole.

Che legami ci sono con la guerra in Ucraina? Quale sviluppo ci si può aspettare?
Il 10 settembre 2022, nel pieno della guerra in Ucraina, il capo dell’Ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh raggiungeva Mosca per un incontro con il ministro degli Esteri russo Lavrov. Al termine, il capo della diplomazia russa disse di aver «apprezzato il coordinamento e la consultazione col Cremlino su diverse questioni». Quelle parole suonano oggi come la conferma di un rapporto diretto tra la Russia e la milizia islamista. Non solo, ieri sempre da Mosca è arrivata un’accusa: «Kiev ha venduto ad Hamas le armi fornite dall’occidente». L’Ucraina ha risposto sostenendo che la macchina della propaganda di Putin stia fabbricando un falso dossier per scoraggiare i Paesi che supportano militarmente la resistenza ucraina. Il rischio concreto in ogni caso è che l’attenzione del mondo, e gli aiuti economico-militari, possano ora spostarsi in Medio Oriente.

Hamas ha preso centinaia di persone in ostaggio: qual è la strategia?
Trascinati via dalle proprie famiglie, su van o motociclette, bendati e con le mani legate. Poi, nascosti chissà dove, nei tunnel e nelle case sicure di Gaza. Sono tre le fazioni armate palestinesi che hanno rapito circa un centinaio di civili israeliani: si tratta di Hamas, Jihad islamica e Brigate dei Martiri di Al Aqsa. I terroristi hanno intenzione di usarli come merce di scambio: sanno di come l’opinione pubblica israeliana premerà, già dalle prossime ore, per rivedere tutti liberi; sanno che il rischio che gli ostaggi vengano uccisi o peggio usati come scudi umani potrà dissuadere Israele dallo sferrare il terribile attacco di terra che Gerusalemme ha già annunciato.

Quali scenari aspettarsi ora? La guerra sarà lunga?
Da qualsiasi parte lo si guardi, l’attacco di Hamas è destinato ad alimentare una nuova fase di conflittualità in Medio Oriente. Anche Hezbollah, in Libano, tenterà di approfittare del momento per colpire da Nord, come qualche isolato esponente avrebbe già provato a fare? Si arriverà a una nuova occupazione della Striscia da parte di Israele? Che ruolo giocheranno nella partita Stati Uniti e Iran? Di certo il nodo palestinese è stato trascurato colpevolmente dalla comunità internazionale: Israele per ora ne paga ora un alto e inaccettabile prezzo, che chiede e merita totale solidarietà. Ma i lutti potrebbero moltiplicarsi, se non si sperimenteranno nuove vie di pace.

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