Di Mancini parla solo il suo successore: «Roberto ha vinto un Europeo ha fatto un record di 37 risultati utili consecutivi e ha lanciato molti giovani», sottolinea sportivamente Spalletti, strappato da Gravina all’anno sabbatico e scelto «per la qualità del gioco che esprimono le sue squadre e poi c’è la maturità raggiunta dal professionista. Ma ciò che più mi ha colpito – continua il presidente della Figc- è il lato professionale: le sue idee innovative, la sua capacità di essere una persona che dedica tutta la sua capacità sentimentale a tutto ciò che ama».
E Spalletti ama da sempre andare alla ricerca della felicità. «Io cerco la felicità, è quella di cui abbiamo bisogno, ma non riesco a essere felice se non vedo la gente felice attorno a me. Napoli e i napoletani sono stati la mia felicità. Questa è una maglia importantissima, i giocatori devono essere felici di indossarla”». Gravina offre al nuovo selezionatore la potenziale felicità di una «Nazionale-famiglia». «L’augurio che posso fare a Spalletti è che in tempi rapidi si possa per te aggiungere una nuova etichetta ai tuoi vini dedicata all’azzurro. Grazie Luciano!».
A 64 anni il ct azzurro è un vino invecchiato bene e frizzante. “Lucio” come lo chiama mamma Ilva (ha appena compiuto 90 anni) ragiona da Cincinnato nato e cresciuta nella cultura contadina certaldese. Parla schietto, da uomo abituato a sussurrare ai cavalli della sua tenuta di Montaione, a un tiro di schioppo da Coverciano. Il figlio del guardiacaccia Carlo, morto tanto tempo fa (aveva 54 anni) sa che questa Nazionale è una bestiola da ammaestrare e far crescere, perché a differenza del suo Napoli non ci sono i computer di centrocampo stile Lobotka, né i funamboli alla Kvaratskhelia e ancor meno un cecchino implacabile del calibro di Osimhen.
In compenso avrà il suo fido capitano napoletano, Di Lorenzo, che, come lui, ha spiccato il volo partendo da una delle ultime oasi del talentscoutismo, il laboratorio permanente di Empoli. Dal settore giovanile empolese l’allora rampante Spalletti ha promosso a suo storico vice, Marco Domenichini, con il quale lavora da 26 anni a questa parte. Insieme sono passati dai fasti di Udine e le avventure tempestose di Roma e Inter. Tutte esperienze, oltre a quella vincente dello Zenit San Pietroburgo, in cui Luciano da Certaldo ha sempre tenuto ferma la linea del suo credo calcistico, non facendo sconti a nessuno, neppure a capitani intoccabili come Francesco Totti.
«Prima il gruppo», è il primo comandamento del mistico Spalletti che non vede nel calcio, una fede, come quella che pratica partendo dal rosario che tiene al collo della tuta, ma una grande opportunità di mettere in mostra il suo talento. Stratega pronto a partire dalle prime due prove Europee (contro la Macedonia e l’Ucraina) «dal 4-3-3, poi se avremo bisogno di uno più offensivo si può andare a mettere un sottopunta e passare al 4-2-3-1». Sottopunte (vedi il suo ex allievo al Napoli, Raspadori), perché punte da grappoli di gol nella vigna azzurra non se ne vedono.
«Però in compenso abbiamo un centrocampo tra i più forti in circolazione e questo è fondamentale per costruire qualsiasi tipo di gioco», dice convinto Spalletti che è pronto a lavorare e valorizzare al massimo una pattuglia di suoi pupilli, come Zaccagni, Tonali e Locatelli (per cui studia un ruolo alla Pirlo). «Io tento di scegliere i migliori valutando in questo momento qui anche il minutaggio». Per questo, i “due stranieri” Verratti e Jorginho allo stato attuale non rientrano nella quota dei «150 convocabili su 570» che offre la Serie A. La speranza, per il bene del calcio azzurro e dell’era Spalletti, è che quella quota si capovolga, quanto prima.
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