Il pastificio delle donne afghane

by • 8 gennaio 2023 • ESTERI, In evidenzaCommenti disabilitati su Il pastificio delle donne afghane189

“Sulla condizione delle donne in Afghanistan le informazioni pubblicate all’estero sono spesso molto parziali. Non è corretto dire, per esempio, che le donne non possono lavorare in toto. Non possono fare lavori a contatto con il pubblico, se non in alcuni casi particolari”. È così che Selene Biffi, 40 anni, imprenditrice sociale originaria di Mezzago, racconta ad AsiaNews la condizione odierna delle donne afghane. Mentre i talebani continuano a ridurre gli spazi di libertà vietando alle ragazze di andare all’università (finora l’accesso ad alcuni gradi di istruzione era stato consentito), sono molteplici le iniziative a supporto delle donne anche in un contesto tanto complicato.

È il caso di un pastificio nel nord dell’Afghanistan, sostenuto dall’associazione She Works for Peace – fondata da Selene a inizio anno -, e dalla Cooperativa Girolomoni, attiva nella produzione di cibo biologico, e un gruppo di altre imprese italiane.

Tutto è nato da un incontro a marzo di quest’anno: Selene, che ad agosto 2021 era anche stata coinvolta nell’evacuazione di cittadini afghani, era tornata ancora una volta nel Paese per distribuire alla popolazione gli aiuti raccolti in Italia dopo la riconquista talebana: “Le persone erano contente di ricevere aiuti, ma mi chiedevano la possibilità di tornare a lavorare”. È così che la rete di supporto creata da Selene si è trasformata nella no-profit She Works for Peace che ha per obiettivo di sostenere la microimprenditoria femminile in contesti difficili.

A marzo, a un evento per donne imprenditrici, Selene ha incontrato Sima, una donna intenta a vendere sciarpe e stole: “Il suo sogno però era di riaprire il suo pastificio, avviato nel 2018 e chiuso con l’arrivo al potere dei talebani”. Un anno dopo la caduta di Kabul il pastificio ha ripreso vita (v. foto): inizialmente operativo due giorni a settimana, ora accoglie le lavoratrici cinque giorni su sette. La maggior parte di esse sono vedove o hanno mariti malati, per cui sono l’unica fonte di sostentamento per le loro famiglie. “Quando parliamo di microimprese”, precisa Biffi, “intendiamo anche una singola donna con in casa una vacca di cui poi vende il latte al mercato, quindi si tratta in molti casi di attività di sopravvivenza”. She Works for Peace in un anno ha sostenuto oltre 300 microimprese femminili in tutto l’Afghanistan.

Il pastificio si trova attualmente in una casa riconvertita in laboratorio: mentre le donne si occupano della parte produttiva – all’inizio erano in due, ora se ne contano 15 -, due uomini sono stati assunti per la distribuzione della pasta.

È difficile prevedere che piega prenderà l’Afghanistan nei prossimi mesi. La leadership talebana accoglie al suo interno correnti differenti, e nel frattempo il Paese, sorpassato da questioni più urgenti come la guerra in Ucraina, è finito nel dimenticatoio della comunità internazionale. Eppure le Nazioni Unite calcolano che 28,3 milioni di persone – due terzi della popolazione – avranno bisogno di assistenza umanitaria nel 2023. Circa 4 milioni di donne e bambini soffrono di malnutrizione acuta. A causa della crisi economica e della mancanza di liquidità, i debiti delle famiglie sono aumentati di sei volte, e oltre il 70% dei redditi ora viene impiegato per comprare generi alimentari.

Ma Selene non ha intenzione di mollare, e con lei nemmeno le donne afghane: “Queste donne e ragazze stanno ricostruendo il tessuto socio-economico locale in linea con le limitazioni imposte dai talebani”, commenta l’imprenditrice. “Si tengono in equilibrio tra le possibilità loro offerte e le loro necessità: è un segno di grande forza, dimostra che non vogliono arrendersi nonostante le difficoltà”.

“La cosa che mi colpisce di più – continua Biffi – è la volontà delle donne afghane di darsi sostegno a vicenda. Pensano a donne come loro: vogliono insegnare, creare opportunità e nuovi posti di lavoro anche in un contesto così complesso”, prosegue Selene, che in Afghanistan ci è arrivata per la prima volta nel 2009 e da allora non l’ha più mollato: ma “è lui che ha scelto me”, specifica. “Sono arrivata come volontaria per un’organizzazione internazionale e poi sono tornata nel 2013”. In quell’anno l’ex cooperante ha fondato a Kabul la Qessa Academy (l’Accademia delle storie), una scuola per cantastorie tradizionali, una via per “formare e informare” giovani disoccupati dai 18 ai 25 anni. “Nonostante una presenza ventennale della comunità internazionale in Afghanistan, oltre il 60% degli afghani è ancora analfabeta”.

Da qui la scelta di utilizzare lo storytelling tradizionale (ricco di storie folkloristiche e impreziosito dall’epica persiana) per arrivare ai giovani e alle comunità locali: “La cultura popolare è andata incontro a un lento declino iniziato con l’occupazione sovietica nel 1979, poi con il primo governo talebano degli anni ‘90 i cantastorie itineranti rischiavano l’arresto”, spiega Biffi. “Nel 2013 i cantastorie rimasti erano tutti molto anziani, mentre dall’altra parte c’era una popolazione molto giovane e pressoché analfabeta, composta per oltre il 60% da persone con meno di 25 anni”. Fino al 2020 la Qessa Academy ha informato le comunità locali su una varietà di temi attraverso il metodo dello storytelling tradizionale, “più intimo e facile da accettare” per gli afghani, anche grazie ad eventi pubblici e programmi televisivi e radiofonici

Il pastificio di Sima nel nord dell’Afghanistan nel frattempo ha ricevuto sostegno anche da altre tre imprese italiane legate alla produzione di pasta (Sima Impianti di Spresiano, Landucci e Ricciarelli di Pistoia) che, insieme a Girolomoni, continueranno ad offrire risorse e supporto tecnico. Alla fine, che sia attraverso un pastificio o un’accademia per cantastorie, quelli di Selene Biffi sono tutti tentativi di riscrivere la storia di un Paese martoriato da decenni di guerre e fanatismi.

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