Il nuovo ordine mondiale non è stato ancora stabilito

by • 19 dicembre 2023 • ESTERI, In evidenzaCommenti disabilitati su Il nuovo ordine mondiale non è stato ancora stabilito414

L’incontro Biden-Xi: Segnali positivi dall’incontro, come la riapertura delle comunicazioni militari ma restano i nodi.

Uno scivolone imprevisto? Dopo le strette di mani, la passeggiata con tanto di scambi di cordialità, le dichiarazioni concilianti e distensive, il pranzo di gala è arrivata anche la coda polemica. Dopo averlo già bollato come un “dittatore” in estate, il presidente Usa Joe Biden ci è ricascato. Il presidente cinese Xi Jinping, ha detto il capo della Casa Bianca nel corso della conferenza stampa, “è un dittatore, nel senso che governa un Paese comunista, basato su una forma di governo totalmente diversa dalla nostra”. Immediata (e irata) la replica cinese. Per il portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning “questo tipo di discorso è estremamente sbagliato ed è una manipolazione politica irresponsabile. La Cina si oppone fermamente”.

Il giorno dopo lo storico faccia a faccia tra i due leader, che non si vedevano da un anno e con i rapporti tra le due super potenze punteggiati da una serie di “incidenti” e tensioni, è già tempo di bilanci. Cauti. Il vertice ha sicuramente segnato dei passi in avanti, dopo il gelo degli ultimi mesi: la decisione di ripristinare le comunicazioni militari, la convergenza sul clima, la concordanza sull’intelligenza artificiale, la frenata cinese sulla produzione illecita del fentanil (sui cui puntava molto Biden) e, persino, l’“omaggio” dei panda di Pechino. Ma i nodi che rischiano di strangolare i rapporti tra Usa e Cina restano tanti e tutti altamente minacciosi. Da Taiwan all’esplosioni delle guerre in Ucraina prima, in Medio Oriente poi, tutti dossier che si inseriscono sullo sfondo della corsa alla leadership globale.

Il mondo oggi – ha detto, non a caso, Jin Canrong dell’Università cinese di Renmin – è entrato in un’era di grandi antagonismi: il vecchio ordine dominato dall’Occidente si sta disintegrando, ma il nuovo ordine non è ancora stato stabilito”.

Il “patto di non belligeranza” tra i due leader
La stretta di mano a San Francisco tra Biden e Xi suggella un patto fondato su una sorta di reciprocità: i due leader hanno bisogno, in questa fase storica, uno dell’altro. Il presidente Usa ha davanti a sé la partita rischiosa e altalenante della rielezione, quando i sondaggi e il gradimento presso l’opinione pubblica possono imprimere alla politica presidenziale Usa oscillazioni imprevedibili. Il presidente cinese, a sua volta, deve fronteggiare l’affaticamento dell’economia cinese che minaccia l’ordine “imperiale”, costruito in più di dieci anni di potere e che insidia il patto sui cui si è basata la straordinaria ascesa economica (e politica) del gigante asiatico: ricchezza in cambio della pace sociale. Il percorso è stretto e rischioso. E le possibilità di manovra limitate.
Per Sun Taiyi, della Christopher Newport University “né Washington né Pechino nutrono alcuna illusione di una rapida svolta o di un miglioramento significativo delle relazioni. I leader di entrambi i Paesi, ciascuno per le proprie ragioni, vedono però anche i benefici nel contenere le tensioni al livello attuale per prevenire un ulteriore deterioramento”.

Le crisi globali
A dettare l’agenda dei due colossi sarà l’instabilità globale. Per Patricia Kim, esperta di Asia al Brookings Institution «le drammatiche crisi in Medio Oriente e nell’Europa dell’Est servono a ricordare a entrambe le parti che, nonostante la feroce rivalità in tutti i settori, né gli Stati Uniti né la Cina beneficiano del caos. Al contrario condividono un forte interesse per un’economia globale stabile». Gli Usa, impegnati a gestire dossier sempre più “impaludati”, non possono permettersi l’apertura di un nuovo fronte. Non solo. Biden deve fare i conti con l’ombra di Trump, tastando il polso all’opinione pubblica Usa. Secondo il think tank Atlantic Council «mantenere un dialogo aperto con la Cina farà guadagnare a Biden il sostegno dell’elettorato statunitense. Solo il 13% degli americani vede di buon occhio un approccio conflittuale nei confronti della Cina”.

Un’economia malata?
Pechino, da parte sua, deve “riparare” un’economia fragile, stretta tra consumi deboli, un mercato immobiliare in difficoltà e il rallentamento delle esportazioni. Ma c’è soprattutto un segnale che inquieta le stanze del potere cinese: il calo della fiducia degli investitori stranieri. La decisione della Apple di spostare la produzione degli iPhone in India segnale la perdita di appeal e di attrazione della Cina. “Le preoccupazioni legate al rischio geopolitico, all’incertezza della politica interna e al rallentamento della crescita stanno spingendo le aziende a pensare a mercati alternativi”, ha detto alla Bbc Nick Marro dell’Economist Intelligence Unit (EIU). Guadagnare il “consenso” Usa, essere trattato alla pari da Biden, può servire a Xi per tacitare i contrasti interni che corrono nascosti sotto la pelle del gigante asiatico.

La miccia Taiwan
La distanza tra i due colossi resta abissale, nonostante le dichiarazioni, soprattutto su Taiwan. Nel corso del faccia a faccia con Xi, come ha sottolineato la diplomazia statunitense, Biden ha rimarcato che gli Usa “continueranno ad armare Taiwan”, pur ribadendo la linea dell’“unica Cina”. Come ricorda Politico, l’inquilino della Casa Bianca ha più volte ricordato nel corso della sua “carriera” politica che gli Usa interverranno militarmente in difesa di Taiwan in caso di aggressione militare da parte della Cina.
I segnali restano inquietanti. L’ “isola ribelle” ha stanziato quest’anno un budget militare record di oltre 19 miliardi di dollari. Ma lo squilibro resta insanabile: si stima che la spesa per la difesa della Cina sia circa dodici volte quella di Taiwan.
Come ha scritto il New York Times, «per mezzo secolo, gli Stati Uniti hanno evitato la guerra con la Cina per Taiwan, in gran parte attraverso un delicato equilibrio tra deterrenza e rassicurazione. Ora questo equilibrio è andato in frantumi».

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