DISORGANIZZAZIONE. La ricerca scientifica per lo più dà ragione a Marie Kondo, la guru giapponese dell’arte del riordino che in quattro e quattr’otto rassetta armadi, dispense e case intere con precisione chirurgica: tanto che Elizabeth Sander, psicologa della Bond University in Australia, ha per esempio dimostrato che l’ordine, la bellezza e l’assenza di caos dell’ambiente in cui lavoriamo è correlato a risposte cognitive ed emotive migliori.
«La disorganizzazione non piace al cervello perché drena le sue risorse e riduce la capacità di concentrazione: pile di fogli, tazze sporche, oggetti buttati alla rinfusa sulla scrivania distraggono la mente, creano una specie di sovraccarico di informazioni visive che compromette anche la memoria di lavoro».
DISORDINE MENTALE. La produttività e la chiarezza di pensiero ne risentono, come ha confermato uno studio del Princeton Neuroscience Institute: indagando l’attività cerebrale di alcuni volontari in ambienti domestici e lavorativi più o meno confusionari, Stephanie McMains ha verificato che fare ordine regala una miglior capacità di attenzione e di elaborazione delle informazioni, con un beneficio netto sulla resa cognitiva.
Come se non bastasse, un ambiente disorganizzato e caotico porta anche a rimandare di più le incombenze: chi ha una scrivania sommersa di carte e faldoni buttati là senza un criterio preciso tende a procrastinare più di chi lavora fra fascicoli impilati per priorità. «La disorganizzazione e la tendenza a temporeggiare hanno un fondo comune: mettere a posto le proprie cose scegliendo che cosa buttare o meno richiede tempo ed è un compito che molti non amano», spiega Joseph Ferrari, docente di psicologia alla DePaul University di Chicago (Usa) che ha dimostrato come chi è più disordinato tenda a rinviare gli impegni in ufficio, finendo però per essere anche più insoddisfatto delle proprie performance lavorative.
SI MANGIA DI PIÙ. L’effetto negativo sul cervello della disorganizzazione degli ambienti sembra dipendere dallo stress indotto dal caos: volenti o nolenti, una stanza confusa e disordinata ci mette inconsciamente in allarme. Aumenta infatti il livello dell’ormone dello stress, il cortisolo, con un effetto ancora più evidente nel sesso femminile che forse dipende dal retaggio culturale.
«Le donne si sentono spesso responsabili dell’ordine e quando non riescono provano maggior disagio», specifica Darby Saxbe, psicologa dell’Università della California del Sud (Usa) che ha studiato gli effetti del disordine sul grado di stress.
Tutto questo ha conseguenze non solo sull’attività cognitiva, che peggiora, ma anche sul benessere in generale: alcune ricerche dimostrano che dormire in stanze disordinate per esempio facilita la comparsa di disturbi del sonno, rendendo più difficile addormentarsi o favorendo brutti sogni, e vivere in una casa caotica fa ingrassare perché si tende a mangiucchiare di più.
METTITI IN ORDINE. Un ambiente confusionario può anche mettere alla prova le relazioni personali, perché, stando a dati raccolti da ricercatori del Dipartimento di Psicologia della Cornell University statunitense, il disordine impedisce di interpretare correttamente le espressioni e le emozioni dell’altro, finendo per provocare pure più litigi e discussioni.
Gli altri per giunta ci giudicano proprio in base all’organizzazione dei nostri spazi: uno studio statunitense dell’Università del Michigan ha dimostrato che entrare in un ufficio ordinato (libri sugli scaffali, carte ben impilate, cartacce nel cestino) porta a giudicarne il proprietario più coscienzioso e affidabile rispetto a chi lavora in uno spazio disorganizzato (con libri per terra, fogli sparsi e così via).
L’apparenza conta insomma: l’impressione, spiegano gli autori della ricerca, è che si tratti di una persona negligente e pure più irritabile e difficile da gestire. Vale perfino per l’abbigliamento: chi è poco curato viene considerato meno preparato, competente e perfino intelligente di chi si presenta in ordine, stando a dati raccolti da Eldar Shafir dell’Università di Princeton.
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