I social non possono diventare “tutto il mondo”

by • 4 febbraio 2021 • In evidenza, SOCIALECommenti disabilitati su I social non possono diventare “tutto il mondo”326

L’atroce e straziante morte della bambina di Palermo vittima di un gioco sui social, con quella che sulle app viene chiamata “hanging challenge”, letteralmente sfida ad appendersi, impone che si apra una riflessione seria e dirimente sull’utilizzo del web da parte dei minori e conseguenti provvedimenti concreti per arginare la parte più oscura della Rete, quella dove i nostri figli rischiano di diventare preda di pratiche autolesioniste o di adescamento. Pericoli che con la pandemia sono aumentati in modo esponenziale a causa della chiusura forzata e, dunque, dell’assenza di relazioni di cui i ragazzi sono stati necessariamente privati. In questo senso, sono significative le parole del padre della piccola vittima: “Quel social era diventato il suo mondo”. Ecco, il web è diventato per molti bambini e ragazzi la realtà principale, della quale la vita materiale è diventata una vuota subordinata. Un fatto sociale e culturale che ha pochi precedenti e che determina un senso di profonda inquietudine, se si considera l’aumento esponenziale dei suicidi e tentati suicidi, della bulimia e anoressia, del ritiro sociale.

Siamo di fronte ad un problema emergenziale che si può e si deve risolvere, intimando alle piattaforme online di accertarsi dell’età dei suoi frequentatori. Va attuato, come indicato dal Presidente della Consulta, Cesare Mirabelli, un sistema di tutele e garanzie che consenta ai genitori di controllare l’utilizzo del web da parte dei figli, almeno quando hanno meno di 14 anni. Contestualmente, è indispensabile rafforzare un lavoro pedagogico, educativo e culturale che consenta di creare un argine solido e duraturo per sostenere i bambini e i ragazzi nella loro crescita dentro un mondo così articolato e complesso come quello dell’ecosistema digitale. Si tratta di controllare, seguire, raccontare, spiegare: un compito che deve coinvolgere tutte le agenzie educative, cominciando dalla famiglia. Deve essere chiaro, infatti, che la questione dell’approccio alla tecnologia da parte dei minori è prioritariamente educativa. Nella specifica responsabilità che chiama in causa i genitori abbiamo bisogno di costruire, insieme a loro, percorsi di condivisione e informazione che aiuti a individuare i pericoli, perimetrando in modo più efficace ciò che è pericoloso nel “deepweb”.

Questo è un lavoro lungo e complesso che trova la sua origine nella necessità di impedire che la distanza tra noi e i nativi digitali diventi incolmabile. I minori oggi sono precoci e lo sviluppo delle loro competenze relazionali, cognitive e affettive non segue una linea temporale omologa alla realtà circostante. Questo li conduce in territori oscuri e pericolosi, che però vengono affrontati con lo spirito di quell’età che non ha ancora maturato la consapevolezza del limite, il senso del rischio e la cognizione dei confini. In quel mondo deformato, che per gli adulti è difficile comprendere, il processo di accelerazione diventa insostenibile e l’esibizione, la competizione sfrenata, l’incapacità di riflessione, la precocità delle esperienze assumono contorni sempre più drammatici. Ma per i bambini e ragazzi isolati dalla possibilità di condividere confidenze di sguardi, di gesti, di presenza corporea, il web sta diventando il mondo reale e dentro questo corto circuito rischiamo di perdere una generazione.

Sta a noi, da una parte, indicare criteri e regole da seguire quando i minori si trovano di fronte a contenuti violenti, dall’altra costruire nella realtà modelli di relazione che li appassionino e che siano pieni di senso e contenuti. Non si può certo fermare il processo di digitalizzazione ma si deve perimetrarlo e guidarlo, cercando di fornire risposte di senso alla preadolescenza e adolescenza. Devono essere gli adulti a non mettere nelle mani dei bambini giocattoli per adulti, anche se il lavoro di accompagnarli nel percorso di crescita, condividendo l’impegno di un patto educativo è lungo e faticoso. E’ necessario anche imparare a conoscere, senza disinteressarsene, il mondo frequentato dai propri ragazzi che per molti di noi è assolutamente sconosciuto. La cura della loro crescita passa dalla conoscenza e dalla consapevolezza. Ma anche dalla capacità di aiutarli ad esprimere sè stessi, paure, rabbia e pulsioni, proponendo modelli strutturati di opportunità ed esperienze.

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