La stagione estiva in Russia ha mostrato un fenomeno significativo: il grande incremento dei lunghi pellegrinaggi verso i santuari del Paese. Lo rivela un’inchiesta di Moskovskij Komsomolets. Era già emerso con la pandemia, e lo stesso accade con l’aggressione all’Ucraina. Molti russi cercano il conforto dei santi e delle sacre icone, insieme alla benedizione dei monaci e degli “starets” (mistici) in luoghi sacri spesso assai lontani.
L’impossibilità di recarsi all’estero per le vacanze ha contribuito a incrementare il turismo interno nelle zone degli storici monumenti civili ed ecclesiastici, e i santuari sono le mete più ricercate. Durante i mesi estivi i grandi pellegrinaggi dei fedeli ortodossi sono almeno una ventina, e attorno a essi si crea una comunità di fedeli e persone alla ricerca di conforto e significato nelle tragiche vicende attuali.
Il più grandioso e solenne dei pellegrinaggi è quello che si svolge da San Pietroburgo a Ekaterinburg, detto il “Romanovskij Khod” (il Sentiero dei Romanov), 3.500 chilometri a piedi nel corso di tre mesi e mezzo, in un flusso ininterrotto tra maggio e luglio fino al luogo del martirio del santo zar Nicola II “strastoterpets” (colui che ha sofferto la passione) e dei membri della famiglia imperiale. I fedeli si radunano in questo bosco degli Urali fino all’inizio delle nevicate autunnali, e proprio nei tempi del Covid qui si concentravano coloro che non volevano sottomettersi alle regole di isolamento e distanziamento.
La conclusione ufficiale della stagione dei cortei religiosi è la festa di San Sergij di Radonež dell’8 di ottobre, nella Lavra di Sergiev-Posad a 70 km da Mosca. È il “Vaticano russo”, in cui si ricorda la rinascita del monachesimo nel XV secolo, con la vittoria sui tartari e la stagione della grande iconografia russa di Andrej Rublev e degli altri discepoli di Sergij. Il vero pellegrinaggio, secondo antiche tradizioni russe, prevede la partecipazione più ampia possibile del popolo, e perfino ai tempi sovietici la gente si radunava nonostante le proibizioni ufficiali, quando i pellegrinaggi erano considerate “manifestazioni illegali”.
Il raduno più numeroso dei “krestokhodtsy” (portatori della croce) è stato quest’anno il cammino del “Velikorektsij” (grande fiume) da Kirov, lungo il fiume Vjatka, grande affluente del Volga, fino al luogo del ritrovamento dell’icona miracolosa di San Nicola nel villaggio di Velikoretskoe. Le celebrazioni solenni dell’8 giugno hanno radunato circa 25mila persone, che hanno camminato una settimana intera, e fino a ottobre i pellegrini si sono avvicendati per chiedere l’intercessione del santo più amato dai russi.
Uno dei pellegrinaggi più “istruttivi”, il cosiddetto Irinarkhovskij Khod nella regione di Jaroslavl, propone come regola aurea il senso di “un cammino necessario per soffrire, sperimentare le ristrettezze e le prove della vita, per il bene della propria anima”. Molti pellegrini hanno raccontato di aver aderito a questo programma spinti dalla compassione per chi soffre a causa della guerra, sia tra gli aggrediti sia tra i patrioti e i mobilitati e le loro famiglie, non sapendo come altro ritrovare la pace a livello interiore.
Il pellegrinaggio unisce i sentimenti del “cristianesimo militante”, raffigurando la parata dell’Armata Celeste, con l’umiliazione del cammino dei penitenti: in entrambi i casi viene ritenuto come l’unica possibile via per la redenzione. Molti pellegrini indossano i “verigi”, gli scomodissimi stivali metallici di Sant’Irinarkh all’inizio del ‘600, che ricordano anche le armature dei soldati nel fango, cercando di astenersi dal fumo e dagli alcolici e ascoltare le monizioni dei santi monaci che invitano a confidare soltanto in Dio, e non nei piani degli uomini: “È Lui che ti conduce alla vera meta del pellegrinaggio della vita”.
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