Con le spalle al muro per via di un deficit previsto quest’anno al 6% e di un debito di oltre 3.200 miliardi (112% del Pil) divenuto «colossale», come l’ha definito il neopremier Michel Barnier in Parlamento, la Francia si appresta a sperimentare una versione aggiornata della tassa patrimoniale, ovvero la misura più discussa di una “cura da cavallo” che prevede soprattutto tagli sensibili nella spesa pubblica — equivalenti a «due terzi dello sforzo» complessivo —, una razionalizzazione della spesa (come certi affitti esorbitanti pagati fin qui dallo Stato in immobili di pregio) e un rilancio della lotta all’evasione fiscale. Sul debito, non c’è altra scelta, secondo Barnier, perché «se viene trascurato, spingerà il nostro Paese sul bordo del precipizio».
Ma che forma prenderà la fiscalità eccezionale? Per ora, da Palazzo Matignon e dal ministero dell’Economia sono giunte soprattutto rassicurazioni sul carattere «mirato» e «temporaneo» della misura la cui bussola resterà «un’esigenza di giustizia fiscale». Come dire che, anche per la cultura politica di Barnier, uomo di centrodestra e non proprio un ardente promotore della fiscalità, il governo cercherà d’evitare il rischio d’essere accusato di «fiscalismo punitivo».
In ogni caso, si tratterà di una leva verso gli obiettivi contabili fissati da Barnier: far scendere il deficit al 5% l’anno prossimo, in vista di un ritorno solo nel 2029 sotto la soglia del 3% prevista da Maastricht. Come hanno sottolineato subito pure tanti economisti transalpini, si tratta in fondo di obiettivi piuttosto soft che non sembrano affatto prefigurare un piano “duro” d’austerità. Entro l’anno prossimo, se le previsioni di crescita saranno rispettate, Parigi cercherà di “ricavare” in tutto circa 27 miliardi.
Nell’insieme, le misure fiscali eccezionali previste saranno concepite per riportare all’erario circa 9 miliardi. Nel caso delle aziende, sono nel mirino di una tassa speciale quelle «che realizzano profitti importanti», indipendentemente, a quanto pare, della portata del giro d’affari. Per quanto riguarda i patrimoni personali e familiari, Barnier ha parlato di un «contributo eccezionale per i francesi più agiati, allo scopo di evitare le strategie di defiscalizzazione dei più grossi contribuenti».
Il ministro del Bilancio, Laurent Saint-Martin, ha precisato che dovrebbe essere interessata solo una cerchia minima di contribuenti, ovvero circa lo 0,3%. In altri termini, un totale di 65mila persone. Ad esempio, i nuclei familiari senza figli con redditi superiori a 500mila euro all’anno.
Chiaramente, si vogliono evitare certi errori del passato e in particolare il rischio di penalizzare dei capitali strategici per la crescita economica. Secondo gli esperti, la formulazione scelta dal premier sembra prefigurare la definizione di una soglia minima di tassazione per i più ricchi. In altri termini, a partire da un certo livello elevato di redditi, il contribuente non dovrebbe più potersi avvalere di alcun mezzo per ritrovarsi al di sotto del livello predefinito di tassazione.
Fin qui, grazie a squadre di consulenti, i più abbienti sono stati in grado di avvalersi soprattutto delle cosiddette ‘nicchie fiscali’ — deroghe tributarie ad hoc per facilitare ad esempio gli investimenti in certi settori o territori —, riuscendo di fatto così ad alleggerire il proprio tasso d’imposizione effettivo, portandolo in certi casi anche ben al di sotto di quello teorico. In futuro, in caso di operazioni di questo tipo, l’erario dovrebbe essere in misura di reclamare al contribuente la differenza, in modo da riportare la tassazione effettiva al livello minimo previsto.
Secondo molti politologi, Barnier, anche volendo, non potrebbe accrescere più di tanto la pressione fiscale, poiché la risicata maggioranza relativa che lo sostiene, composta dai 3 partiti centristi dell’arco presidenziale macroniano e dal centrodestra neogollista, ha fatto da tempo dell’alleggerimento fiscale una grande priorità programmatica e di campagna.
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