Elezioni 2024 nel mondo, cosa aspettarsi ?

by • 14 gennaio 2024 • ESTERI, In evidenzaCommenti disabilitati su Elezioni 2024 nel mondo, cosa aspettarsi ?3521

Complici l’aumento della popolazione e la congiunzione degli appuntamenti elettorali, il 2024 potrebbe essere l’anno con il maggior numero di abitanti del Pianeta chiamati alle urne per scegliere Parlamenti e leader, circa 2 miliardi di persone (i 56 Paesi coinvolti – le Europee valgono per 27 – hanno oltre tre miliardi di abitanti ma, com’è noto, votano solo i maggiorenni). Se si considerano anche le consultazioni amministrative e locali, gli Stati salgono a 76, con oltre la metà della popolazione mondiale. Non sempre le procedure saranno democratiche, ma in alcuni casi i risultati avranno comunque importanti ripercussioni non solo nei singoli Stati. Le più importanti sfide le vedremo sotto nel dettaglio. Tra le altre, ricordiamo Bangladesh (7 gennaio 2024, dove già si parla della disinformazione svolta attraverso l’Intelligenza artificiale); Pakistan (8 febbraio 2024), Iran (primo marzo), Bielorussia (24 febbraio, scontata la riconferma di Lukashenko), Portogallo (10 marzo), Belgio (9 giugno), Austria (probabilmente in autunno) e Gran Bretagna (quasi certamente entro l’anno).

Il braccio di ferro per Taiwan
L’ottava elezione presidenziale diretta a Taiwan è prevista per il 13 gennaio 2024 nell’ambito delle elezioni generali. Qui sono in gioco interessi strategici vitali per Taipei, e conseguenze ci saranno sia sulle politiche degli alleati Stati Uniti sia della rivale Cina. Se la campagna elettorale era cominciata con le aspettative in America che il Partito Democratico Progressista (DPP), al governo e favorevole all’indipendenza, i cui vertici sono ospiti frequenti e graditi a Washington, avrebbe ottenuto una facile vittoria, le fasi finali della corsa si sono trasformate in una sfida tesissima. Gli ultimi sondaggi danno il leader del DPP William Lai al 35,2%, appena davanti al suo principale sfidante Hou Yu-ih, del Kuomintang (KMT), più vicino a Pechino, stimato al 30,6%. E proprio la Cina sembra agire nell’ombra per inquinare un voto che può pesare sui piani di Xi Jinping per la riannessione dell’isola.

Indonesia, l’elezione diretta più grande
Più di 200 milioni di persone hanno diritto a votare per le elezioni indonesiane del 14 febbraio, il più grande voto presidenziale diretto al mondo, nel più popoloso Paese musulmano, in cui la tradizionale tolleranza religiosa e culturale – inserita nella Costituzione – ha subito recenti colpi. Tre candidati – il ministro della Difesa Prabowo Subianto, l’ex governatore di Giava Centrale Ganjar Pranowo e l’ex governatore di Giacarta Anies Baswedan – sono in lizza per sostituire il presidente per due mandati Joko Widodo. Secondo molti osservatori, le elezioni “riguarderanno il futuro della democrazia e della cultura politica in Indonesia”. “Ad esempio, “avranno influenza sul modo in cui il potere viene conquistato, sui diritti umani e sulla libertà di espressione”.

Russia, Putin verso il potere a vita
Tra il 15 e il 17 marzo Vladimir Putin tenterà di allungare il suo mandato al 2030. Lo Zar siede al Cremlino come presidente della Russia dal 31 dicembre 1999, con una pausa di 4 anni dal 2008 al 2012, quando è stato “solo” primo ministro. La Costituzione non gli vieterebbe poi di ricandidarsi fino al 2036. Rivali credibili all’orizzonte, ovviamente, non se ne vedono. Sulla scheda ci saranno una trentina di nomi, per dare una parvenza di democrazia alla procedura. Anche tra costoro, comunque, chi può infastidire viene preventivamente escluso. È il caso della pacifista Ekaterina Duntsova, ex giornalista e consigliera comunale, attivista per la democrazia e la fine dell’offensiva in Ucraina, che è stata bocciata dalla Commissione elettorale centrale, per “errori nei documenti presentati”. Ma si sa che l’unico reale sfidante potenziale, il dissidente Alexei Navalny, è rinchiuso da anni con accuse inconsistenti: da poco è stato trasferito in una colonia penale oltre il Circolo polare artico, da dove non può infastidire.

India, Modi cerca il suo terzo mandato
Le elezioni generali nella nazione più popolosa e nella più grande democrazia del mondo (Il Paese conta 1,4 miliardi di persone e ha 950 milioni di votanti registrati) si svolgeranno nell’arco di diverse settimane tra aprile e maggio. Il primo ministro Narendra Modi e il suo Bharatiya Janata Party (BJP) cercheranno di ottenere il terzo mandato quinquennale consecutivo. Il premier, 73 anni, continua a godere di un’ampia popolarità, in forza (e malgrado) il crescente nazionalismo indù e i successi economici, mentre l’opposizione fatica a conquistare spazio. Nel tentativo di lanciare una sfida efficace al BJP, una ventina di partiti hanno formato un’alleanza chiamata INDIA, acronimo di Indian National Developmental Inclusive Alliance. Il cartello include il Congresso Nazionale Indiano, il partito dei Gandhi, che spera di tornare al suo periodo di massimo splendore. Tuttavia, i recenti segnali non sono stati incoraggianti per gli sfidanti di Modi.

Messico, duello tra donne per la presidenza
Due donne, Claudia Sheinbaum e Xóchitl Gálvez, saranno in lizza in Messico il prossimo 2 giugno per succedere al presidente Andrés Manuel López Obrador. Il candidato della coalizione Morena di López Obrador, Continuiamo a fare la storia (Seguimos Haciendo Historia), è l’ex sindaco di Città del Messico Sheinbaum (in vantaggio nei sondaggi). Dovrà vedersela con la senatrice Gálvez, candidato del Fronte Ampio per il Messico (Frente Amplio por México/FAM), la principale alleanza di opposizione, composta dal Partito d’Azione Nazionale (PAN), dal Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e dal Partito della Rivoluzione Democratica (PRD). Quasi 100 milioni di elettori sono chiamati a conferire un mandato di sei anni a una leader che dovrà affrontare i principali problemi del Paese, legati alla violenza dei cartelli del narcotraffico, alla corruzione e ai flussi migratori verso gli Stati Uniti.

Unione Europea, la sfida sovranista
Tra il 6 e il 9 giugno saranno 400 milioni gli europei chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento di Strasburgo. È l’unico caso in cui non si vota per gli organi di una nazione, ma di un’Unione di Stati (27, in attesa di un prossimo allargamento). La prima forza uscente è il Partito popolare, alleato con i socialisti, e i liberali nella cosiddetta (in Italia) maggioranza Ursula, che ha portato alla presidenza della Commissione la popolare tedesca Von der Leyen. Le previsioni danno una crescita di forze euroscettiche o sovraniste, ma i risultati recenti in Spagna, Polonia e Olanda hanno fornito indicazioni contrastanti sulle tendenze generali. C’è inoltre la possibilità che vi sia un rimescolamento nella composizione delle famiglie politiche, compresi gli scenari che vedono lo spostamento del partito Fidesz dell’ungherese Viktor Orbán, uscito dal Ppe. Non è nemmeno esclusa una nuova maggioranza tra popolari e conservatori, dove Fratelli d’Italia svolgerebbe un ruolo chiave. Riflettori puntati anche sui risultati in singoli Paesi, come la Germania e la Francia, con test importanti per i rispettivi governi, insidiati dalle opposizioni di centro-destra.

Stati Uniti, le incognite sul ritorno di Trump
Il 5 novembre si svolgerà il 60esimo voto della storia degli Stati Uniti per eleggere il presidente, che resterà in carica alla Casa Bianca per quattro anni, dal gennaio 2025. Si annuncia come una delle elezioni più infuocate e dagli esiti imprevedibili della storia americana, nelle quali l’affluenza (solitamente bassa) avrà un peso rilevante. L’incognita non è tanto per la scelta tra i due candidati – il leader uscente, il democratico Joe Biden, e lo sfidante repubblicano Donald Trump – quanto per gli effetti di una vittoria di quest’ultimo. Il tycoon, plurinquisito e processato, potrebbe assumere decisioni dirompenti sia sul piano interno sia a livello internazionale, creando una frattura domestica e rimescolamenti degli equilibri globali. La guerra in Ucraina, il conflitto in Medio Oriente, il braccio di ferro su Taiwan, i rapporti con l’Unione europea, le politiche climatiche sono i fronti caldi sui quali l’elezione di Trump avrebbe effetti importanti e forse anche rivoluzionari, come la ventilata uscita degli Usa dalla Nato.

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