«O l’Europa agisce insieme e diventa un’unione più profonda, un’unione capace di esprimere una politica estera e una politica di difesa, oltre a tutte le politiche economiche, oppure temo che l’Unione europea non sopravviverà se non come mercato unico». L’ex premier Mario Draghi mercoledì 8 novembre è intervenuto alla Global Boardroom Conference del Financial Times. Intervistato da Martin Wolf, l’ex capo della Banca centrale europea non ha risparmiato una disanima piuttosto spietata dello stato dell’Ue. Il messaggio, dall’uomo che ha salvato l’euro con il suo «Whatever it Takes» del 2012, non poteva essere più forte.
Draghi ha parlato della evidente vulnerabilità dell’Unione europea nelle grandi crisi geopolitiche in corso. Una fragilità, sia sul fronte nord-orientale con l’aggressione della Russia all’Ucraina, sia sul fronte sud-orientale con la guerra fra Israele e Hamas, che viene – secondo Draghi – da lontano. «La guerra in Ucraina», ha detto, «è stata preceduta da una lunga serie di arretramenti sui nostri valori fondamentali: l’ammissione della Russia al G8 nonostante il mancato riconoscimento della sovranità ucraina, la promessa mancata di un intervento in Siria nel caso il presidente Bashar al-Assad avesse usato il gas come arma, la Crimea, il ritiro dall’Afghanistan». La lezione che se ne può trarre? «Non dobbiamo mai scendere a compromessi sui nostri valori fondamentali», ha detto. Cioè pace, democrazia, libertà, sovranità nazionale.
«Quello che non possiamo fare è starcene fermi, senza reagire. Abbiamo scoperto che ciò che per molti anni avevamo dato per scontato non lo era affatto, e dobbiamo combattere per difenderlo. Ma non ho dubbi sul successo finale», ha detto Draghi, ribadendo che «non c’è alternativa che vincere questa guerra». «Nel mondo assistiamo all’ascesa di autocrazie e democrazie illiberali, negazioni dei diritti civili e violazioni dei diritti umani. Dobbiamo combattere, ciascuno nella propria sfera personale ma anche collettivamente, per fare in modo che la negazione dei nostri valori non prevalga».
Draghi ha espresso il proprio parere anche sul piano della congiuntura economica e della situazione strutturale dell’economia europea. «Sono quasi sicuro che entro la fine dell’anno in Europa avremo una recessione. È abbastanza chiaro che i primi due trimestri lo metteranno in evidenza», ha detto. Nella zona euro «c’è un rischio di recessione ma non direi né profondo né destabilizzante», perché «il punto di partenza è molto alto, con la disoccupazione più bassa di sempre e un mercato del lavoro robusto». Draghi ha spiegato che nel combattere l’inflazione «la politica monetaria potrebbe essere stata un po’ troppo lenta, ma c’è un motivo: lo shock sul lato dell’offerta è stato dovuto interamente al prezzo del gas, un aumento che è il risultato di una deliberata politica della Russia». In ogni caso ora «l’inflazione sta scendendo» e i primi due trimestri del prossimo anno diranno se avremo una recessione che comunque «non sarà destabilizzante».
Ma non ci sono solo problemi congiunturali, aggravati dai postumi della crisi dell’energia e dalla guerra in Medio Oriente. Il problema è che l’Europa sta perdendo strutturalmente terreno sugli Stati Uniti e non solo. «L’economia europea deve ritrovare in fretta la competitività perduta negli ultimi venti anni, e per farlo occorre aumentare la produttività con investimenti nella tecnologia, razionalizzare la spesa per la difesa, muoversi per forniture comuni di energia in modo da abbattere i prezzi. Abbiamo bisogno di una produttività molto più alta, anche per sostenere una società che invecchia: possiamo riuscirci solo attraverso investimenti ad alto valore aggiunto e ad alto tasso di tecnologia», ha detto l’ex premier.
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