Una delle peggiori conseguenze della guerra in Ucraina e della repressione nei confronti di chi in Russia osa avanzare critiche contro l’operazione militare, è la cacciata dagli istituti superiori di tutti gli insegnanti “non allineati”, che impoverisce la cultura russa ancor più delle imposizioni del patriottismo di Stato alle scuole medie e ai licei.
Molti docenti vengono rimossi anche senza esplicite prese di posizione pacifiste, ma in generale per le loro opinioni troppo liberali su vari argomenti, e soprattutto per le collaborazioni con istituzioni straniere, che in questi 30 anni si erano sviluppate in tutti i campi del sapere. Molti si licenziano volontariamente, ritenendo impossibile fare cultura in un’atmosfera del genere.
Un’indagine di Sever.Realii ha cercato di documentare questa situazione, parlando con molti rappresentanti del mondo universitario di San Pietroburgo, la città tradizionalmente più aperta al dialogo tra le culture. La biologa Julia Bojarinova lascerà la cattedra alla fine di questo anno accademico, e confessa che “mi sento male a pensare quanti docenti, compreso il preside della nostra facoltà, abbiano firmato gli appelli di sostegno alle decisioni di Putin, e ancora di più quando vedo gli studenti esclusi dall’università per aver partecipato a manifestazioni contro la guerra… io ho sostenuto i miei ragazzi, e non credo proprio che ci sia un 80% a favore della guerra, anzi”.
Molti professori hanno invece aderito alla “Lettera aperta degli studiosi e dei giornalisti scientifici di Russia” contro la “operazione speciale” in Ucraina, come la docente di storia universale Ljudmila Khut dell’università di Adygeja nel Caucaso settentrionale, che subito dopo ha rassegnato le dimissioni scrivendo sulla sua pagina Facebook, “sono libera!”. L’accademica ha spiegato perché lasciava l’ateneo in cui lavorava dal 1979: “Me ne vado di mia spontanea volontà, spontanea e cosciente; è il prezzo che pago per dire ciò che ritengo giusto, senza mettere nessuno in mezzo, anche se non riesco a immaginare come farò a vivere senza i miei studenti”, spiega Ljudmila.
Spesso l’allontanamento è tutt’altro che volontario, come testimonia Elena Bandyševa, attivista umanitaria e docente di diritto internazionale, a cui è stato rifiutato qualunque contratto anche a distanza, nonostante ne avesse diritto dopo 16 anni ininterrotti di lavoro universitario. Elena insegnava alla Scuola superiore di economia, una delle istituzioni più prestigiose degli ultimi decenni, con sedi a Mosca e San Pietroburgo, in cui è stato fatto un repulisti generale. “Hanno giustificato il rifiuto a causa del mio trasferimento temporaneo in Georgia, per allontanarmi dalle questioni belliche”, racconta Bandyševa, “e hanno trovato scuse di ogni genere per decapitare i dipartimenti della Scuola più impegnati nel dialogo internazionale”.
I giornalisti hanno chiesto alla docente se parlava di questioni attuali con i suoi studenti, ed Elena ricorda che “non puoi insegnare il diritto internazionale senza fare riferimenti a tutto ciò che accade nel mondo, l’ultimo corso che ho insegnato trattava di ‘strategie politiche anti-corruzione’ in confronto tra i vari Paesi”. Non si tratta neppure solo degli argomenti sensibili politicamente, la cacciata dei docenti riguarda molto anche le materie storiche e umanistiche, dove si vuole imporre l’interpretazione ufficiale della cultura russa in tutti i suoi aspetti.
Ovunque sono stati soppressi i corsi che toccano la questione dei diritti umani, come quelli del popolare Dmitrij Dubrovskij, sempre alla Scuola di economia, al cui corso di “Introduzione ai diritti e alle libertà” cercavano di partecipare studenti di ogni parte del Paese. “Il mio licenziamento è stato deciso nelle segrete stanze, senza fornire spiegazioni”, racconta Dubrovskij. “Stiamo assistendo al trionfo dell’oscurantismo, che coinvolge tutte le istituzioni accademiche della Russia, finite sotto il diretto controllo della politica… sono stato cacciato perché facevo corsi esclusivamente in inglese, e perché avevo ricevuto il premio come miglior docente del 2021”.
Perfino ai tempi sovietici la vita universitaria in Russia era molto più libera e aperta di quanto si sta realizzando ora. Pur nella sottomissione alla linea ufficiale del partito, nell’Urss era ben vista la capacità di collaborare con l’estero, e in molti campi dell’istruzione sia scientifica che umanitaria questo dava grandi risultati, mentre ora la scienza russa si sta isolando, perdendo la gran parte dei partner internazionali. “Si sta inaridendo il capitale intellettuale della Russia”, avverte Dubrovskij, che definisce questo “il passaggio dalla ‘kultura’ alla ‘kulturka’, a una degradazione del sapere… non educhiamo i giovani ad affrontare il futuro, insegnandogli solo a vantarsi di Gagarin e della Vittoria sui nazisti”.
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