Cambiare identità, lavoro, residenza, amicizie. Così, da un giorno all’altro, senza dire niente a nessuno. Cancellare completamente il proprio passato e rifarsi una vita chissà dove, alla ricerca di un futuro migliore. Non siamo in un film di fantascienza ma nel cuore della terza economia del mondo. Il Giappone, oltre a essere un esempio per tanti aspetti, dalla disciplina del popolo allo scarso tasso di disoccupazione, presenta anche una faccia nascosta. Una faccia oscura che pochi hanno il coraggio di fissare negli occhi.
Questo Paese, in effetti, può essere considerato una sorta di laboratorio dei fenomeni sociali figli del mondo moderno. Se osserviamo bene ciò che accade all’interno della società nipponica, rischiamo di restare sorpresi. Tra chi muore per troppo lavoro (karoshi), chi si ritira dalla vita sociale abbracciando l’isolamento, magari confinandosi nella propria stanza (hikikomori) e chi si incammina sulla strada della morte volontaria, troviamo anche l’esercito dei johatsusha, ovvero coloro che evaporano.
Gli “evaporati” sono i cittadini giapponesi che spariscono nel nulla, senza lasciare informazioni neppure a parenti e amici. Il loro scopo è uno: fare tabula rasa del proprio vissuto, cestinare fallimenti e vergogne, pesi insopportabili nella comunità odierna, e intraprendere un nuovo percorso. Va da sé, con una nuova identità pubblica fittizia. Per fare un paragone, è come se queste persone decidessero di cancellare il proprio account su un social network per ricrearne un secondo. L’unica differenza è che in questo caso stiamo parlando della vita reale.
Evaporare nel nulla
I motivi che spingono sempre più giapponesi a evaporare come neve al sole sono molteplici. Tutti si collegano alla matrice culturale della società nipponica. Una società nella quale non sono ammessi fallimenti e dove la vergogna pesa così tanto che in pochi riescono a portarla sulle spalle senza avere ripercussioni. Perdere il lavoro in seguito a un errore, passare un brutto momento di difficoltà economiche, rompere un legame matrimoniale che durava da anni: questi sono soltanto alcuni esempi che, quando si verificano, in talune circostanze, possono marchiare a vita alcuni poveri sventurati. I quali, per timore di assaggiare la repulsione sociale – con tanto di perdita di onore, cioè uno degli elementi cardine del sistema valoriale nipponico – o di arrecare disagio ai famigliari, decidono di sparire dai radar.
Sia chiaro: non ci sono solo falliti e poveracci tra le fila dei johatsusha. Troviamo anche figure insospettabili, come padri di famiglia, mogli tradite, amanti abbandonati, ex manager e così via. È difficile quantificare gli evaporati. Un numero ufficiale non c’è, anche se, ricorda Il Messaggero, varie ricerche sostengono che in Giappone, siano scomparse, secondo le modalità appena descritte, la bellezza di 100mila persone. Scendendo nel dettaglio, e prendendo in considerazione gli ultimi dati, ci sono circa 20mila cittadini all’anno che evaporano. Per farsi un’idea, è come se ogni 12 mesi sparisse nel nulla una città come Udine o Arezzo. Uno ogni mezz’ora, con preoccupanti picchi nella fascia di età compresa tra i 6 e 14 anni.
Scomparsa amministrativa
Certo, gli evaporati non muoiono né lasciano il Giappone. La scomparsa riguarda semplicemente una scomparsa amministrativa. A Tokyo e dintorni, infatti, il governo offre la riservatezza assoluta riguardo ai dati finanziari ed economici dei cittadini. In altre parole, nessuno può controllare questi dati, a meno che non siano connessi a movimenti criminali. Merito, dunque, delle varie leggi sulla privacy nipponiche, che garantiscono una notevole protezione fatta eccezione per i citati casi criminali.
Neppure i parenti hanno la possibilità di mettere mani nei dati finanziari di un loro caro. Scomparire diventa così piuttosto semplice: è solo necessario (si fa per dire) dotarsi di tanto coraggio, cambiare nome e città di residenza. È così che prendono forma le fughe dalla propria identità verso una terra promessa che non esiste. Non importa se la meta è identica al punto di partenza. L’importate è eludere le pressioni sociali, alleggerire le relazioni interpersonali asfissianti, ripulire se stessi.
Numerosi giapponesi preferiscono nascondersi piuttosto che affrontare le reazioni di amici e conoscenti di fronte a fallimenti o episodi incresciosi. Chi sceglie questa opzione continua a vivere, ma lo fa senza avere né documenti né una reale identità. Ricordiamo infatti che in Giappone non vi è alcun obbligo di possedere un documento d’identità. Ciò significa che è possibile viaggiare nel Paese senza timore di essere fermati dalle autorità ed essere redarguiti perché senza documenti.
Tra hikikomori e “fantasmi”
La pratica dell’evaporazione è diventata così comune da aver alimentato un vero e proprio business. Stiamo parlando di agenzie specializzate nel far scomparire le persone, che forniscono servizi ad hoc per l’impresa, con tanto di servizio di trasloco notturno dei propri oggetti che si desiderano portare con sé nella nuova vita. Chi decide di arruolarsi nell’esercito dei johatsusha evita sia di rinchiudersi in casa sia di uccidersi.
Tra gli altri fenomeni sociali simili all’evaporazione troviamo il ghosting, che alcuni hanno tradotto in italiano con la perifrasi “diventare un fantasma”. La matrice è sempre la stessa: la vergogna, la fuga dall’io, l’incapacità di reggere un peso. C’è però una differenza non da poco: nel ghosting le persone non spariscono in senso lato. Semplicemente tagliano un’importante relazione in modo improvviso e repentino. Nella maggior parte dei casi il fenomeno si verifica all’interno di storie amorose-sentimentali: un partner, senza dire niente alla controparte, scompare.
Sparire nel Giappone del XXI secolo
Eppure sparire in un Paese ultramoderno come il Giappone, nell’epoca dei social network, dei sistemi di sorveglianza e dei tracciamenti di ogni tipo, non è affatto difficile. Anzi: le testimonianze degli evaporati si susseguono. Prendiamo la storia di Kuni Kazufumi, raccontata dalla rivista francese Revue XXI. Quest’uomo, 66 anni, un bel giorno come un altro, ha varcato le porte del proprio ufficio all’ora di sempre. Solo che, anziché tornare a casa, è sparito per sempre.
Oggi vive in una zona a nord di Tokyo, in un anonimo blocco di cemento bianco, nei pressi dei binari di una ferrovia. Kazafumi si era laureato in una prestigiosa università nipponica. Negli anni ’70 svolgeva la mansione di mediatore finanziario e si occupava di transazioni a rischio. Un giorno commise l’errore di effettuare un investimento sbagliato. Perse in un colpo solo 400 milioni di yen, circa 3 milioni di euro. Finì nel mirino dei suoi capi e dei clienti. Iniziò così a vagare per la città. “Non volevo costruirmi una nuova vita, sono scappato e basta. Scappare non è bello. Non puoi arricchirti e non hai più una posizione nella società. Ti interessa soltanto restare vivo”, ha raccontato Kazafumi. Oggi l’uomo ha aperto una ditta di sgomberi che all’occorrenza si trasforma anche in agenzia per la fuga.
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