“Quando si esamina la propria esistenza o il tempo trascorso – ha detto il pontefice – bisogna sempre avere come punto di partenza la memoria del bene. Infatti, solo quando siamo consapevoli del bene che il Signore ci ha fatto siamo anche in grado di dare un nome al male che abbiamo vissuto o subito. Essere consapevoli della nostra povertà senza esserlo anche dell’amore di Dio ci schiaccerebbe”.
“La cosa peggiore che possa accaderci – ha aggiunto – è pensare di non avere più bisogno di conversione, a livello sia personale sia comunitario”. In questa luce il papa ha invitato a guardare anche alla ricorrenza dei 60 anni dal Concilio Vaticano II, celebrata proprio quest’anno. “Che cos’è stato l’evento del Concilio se non una grande occasione di conversione per tutta la Chiesa? Ma anche “l’attuale riflessione sulla sinodalità della Chiesa nasce proprio dalla convinzione che il percorso di comprensione del messaggio di Cristo non ha fine e ci provoca continuamente”. Perché “il contrario della conversione è il fissismo, cioè la convinzione nascosta di non avere bisogno di nessuna comprensione ulteriore del Vangelo. Conservare significa mantenere vivo e non imprigionare il messaggio di Cristo”.
Ma la conversione non cambia solo noi, ma anche i l male. Lo spinge “ad evolversi, a diventare sempre più insidioso, a mascherarsi in maniera nuova affinché facciamo fatica a riconoscerlo”. Per questo ”una delle virtù più utili da praticare è quella della vigilanza”. A questo proposito il pontefice ha ricordato che Gesù nelle parabole della misericordia parla non solo del figlio che se ne va, ma anche di chi si perde nella propria casa. “Si può vivere infelici pur rimanendo formalmente nel recinto del proprio dovere, come accade al figlio maggiore del padre misericordioso. Se, per chi va via, è facile accorgersi della distanza, per chi rimane in casa è difficile rendersi conto di quanto si viva all’inferno, per la convinzione di essere solo vittime, trattati ingiustamente dall’autorità costituita e, in ultima analisi, da Dio stesso. E quante volte ci succede questo”.
In questo senso anche “tra le mura dell’istituzione, a servizio della Santa Sede, nel cuore stesso del corpo ecclesiale, potremmo cadere nella tentazione di pensare di essere al sicuro, di essere migliori, di non doverci più convertire”. E invece “siamo più in pericolo di tutti gli altri, perché siamo insidiati dal ‘demonio educato’, che non viene facendo rumore ma portando fiori. Scusatemi, fratelli e sorelle – ha aggiunto ancora Francesco – se a volte dico cose che possono suonare dure e forti, non è perché non creda nel valore della dolcezza e della tenerezza, ma perché è bene riservare le carezze agli affaticati e agli oppressi, e trovare il coraggio di ‘affliggere i consolati’, come amava dire il servo di Dio don Tonino Bello (un vescovo italiano di cui è in corso la causa di beatificazione ndr), perché a volte la loro consolazione è solo l’inganno del demonio e non un dono dello Spirito”.
Infine papa Francesco – anche rivolgendosi alla Curia romana – è tornato a parlare del tema della pace. “Mai come in questo momento – ha detto – sentiamo un grande desiderio di pace. Penso alla martoriata Ucraina, ma anche a tanti conflitti che sono in atto in diverse parti del mondo. La guerra e la violenza sono sempre un fallimento. Il Vangelo è sempre Vangelo di pace, e in nome di nessun Dio si può dichiarare ‘santa’ una guerra”.
Ma la cultura della pace – ha detto ancora – “non la si costruisce solo tra i popoli e tra le nazioni. Essa comincia nel cuore di ciascuno di noi. Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi”.
“San Paolo ci dice chiaramente che la benevolenza, la misericordia e il perdono sono la medicina che abbiamo per costruire la pace” ha concluso, ricordando che “ogni guerra per essere estinta ha bisogno di perdono”.
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