Anche se si è portati a pensare il contrario, non sempre l’assenza di dialogo è un brutto segno all’interno di una coppia. Come cogliere e interpretare le diverse motivazioni che si nascondono dietro al silenzio, e come valorizzare il tacere, talvolta elemento prezioso.
Quando cala in silenzio in una coppia, spesso si è portati a pensare che non sia un buon segno. L’assenza di dialogo spaventa e genera una dolorosa sensazione di incomunicabilità, facendo apparire distaccato il partner che non parla. Saper interpretare tutte le sfumature del silenzio in modo corretto non è facile, ma non impossibile. Per imparare a decodificare i suoi messaggi nella comunicazione affettiva è uscito Il linguaggio del silenzio (edito da Feltrinelli Urrà) di Ivana Castoldi, psicologa e psicoterapeuta.
Un libro che sfata il mito del silenzio portatore di negatività e dimostra che spesso dietro a un’assenza di parole non c’è una mancanza di comunicazione. Riuscire a comprenderlo e mettersi in ascolto è importante, soprattutto in amore, imparando a cogliere le differenti ragioni del silenzio.
Per quale motivo il silenzio fa così paura, quando si vive una relazione sentimentale?
“Il silenzio è spesso fonte di inquietudine perché istintivamente asssociato al rifiuto. Dal momento in cui lasciamo il grembo materno, la nostra vita è costellata di esperienze di distacco. Ma non tutte sono traumatiche: se accettate e ben gestite, con l’insorgere della consapevolezza aiutano a maturare e a diventare autonomi.
Quanto più investiamo affettivamente sugli altri tanto più potrebbe aumentare il timore della perdita, che si dovrà imparare a tollerare, contando sulle proprie risorse interiori e su modelli formativi adeguati. Per citare gli esempi più comuni: i bambini hanno paura di perdere i genitori, gli adolescenti di essere emarginati dal gruppo degli amici, gli adulti di essere abbandonati dal partner con cui intrattengono una relazione sentimentale.
Quali sono le funzioni e i significati del silenzio in coppia?
“È difficile prescindere dai pregiudizi sul silenzio nella coppia, ma occorre essere osservatori attenti e neutrali per imparare a decodificare la vasta gamma dei significati che il silenzio può avere. Tendiamo a interpretarlo come un segnale di problematicità, di incomprensione, di lontananza emotiva. In molti casi, la sospensione del dialogo è imputabile a difficoltà e crisi personali o a un deterioramento della relazione di coppia.
Tuttavia, è altrettanto vero che in una coppia il silenzio può essere indice di un’intesa profonda, che non ha bisogno di parole per esprimere i sentimenti. La comunicazione non è veicolata necessariamente dal linguaggio verbale, esistono molti altri canali attraverso cui comunicare e assaporare stati d’animo gratificanti.
Tipo?
Tacere può essere un modo per concedere al partner uno spazio personale in cui, se ne sente l’esigenza, ricaricarsi in solitudine. Amarsi, infatti, non significa necessariamente condividere sempre tutto, creando una bolla che isola la coppia dal mondo esterno e – ciò che è peggio – ciascun partner dal proprio mondo interiore, da quel nucleo profondo che si nutre anche di temporanee esperienze di intimità con sé stessi.
Ogni relazione sentimentale ha bisogno di ossigeno per la sopravvivenza. Ciò significa imparare a vivere in maniera armoniosa uno spazio privato di coppia, una vita sociale di condivisione con il prossimo e – obiettivo non meno importante – l’accesso occasionale a una dimensione di intimità con sé stessi che può rigenerare e procurare benessere”.
Il silenzio è ambiguo, ma perché riusciamo a vederne il lato positivo?
“Il modello educativo a cui facciamo riferimento ne mette in luce gli aspetti più minacciosi. È perciò quasi inevitabile associare il silenzio al dissenso, all’esclusione dall’intimità delle persone che amiamo. Siamo più facilmente indotti a coglierne la valenza negativa.
Pochi apprezzano il silenzio come fonte di quiete. Non ci viene spontaneo cogliere il valore “terapeutico” del silenzio e individuarne le sue funzioni vantaggiose. Non a caso, si tratta di mete che solitamente si conseguono grazie a un opportuno addestramento, come del resto ci suggeriscono anche le discipline orientali.
Noi occidentali, perlopiù cresciuti in famiglie tradizionali che mitizzano il dialogo e la condivisione e credono nell’efficacia dei silenzi punitivi e della colpevolizzazione a scopo educativo, non possiamo che avvertire un senso di disagio ogni volta che si interrompe la comunicazione verbale. Se ci viene opposto un silenzio, ci viene istintivo domandarci se abbiamo commesso qualche torto, se abbiamo deluso il nostro interlocutore, se una relazione che ritenevamo affidabile è inevitabilmente destinata al deterioramento o, addirittura, alla rottura”.
Come si fa a mettersi in un ascolto attivo quando ci sono dei “non detti?
“Un buon ascolto implica due presupposti essenziali. Il primo è una motivazione autentica all’incontro con l’altro, per soddisfare quel bisogno di condivisione che è uno dei tratti peculiari dell’essere umano, in quanto animale sociale.
Il secondo fattore riguarda la capacità di diventare osservatori competenti dell’analogico, il canale comunicativo più efficace per trasmettere informazione nei rapporti interpersonali. Mi riferisco alla straordinaria eloquenza del linguaggio del corpo, che accompagna sia il linguaggio verbale che i silenzi. Sguardi, gesti, posture e comportamenti sono espressivi molto più delle parole. Se non c’è congruenza tra verbale e analogico, è a quest’ultimo che conviene prestare fede: difficilmente inganna. Potremmo mentire a voce, ma un attento osservatore sarà in grado di cogliere i segnali di dissenso che, nostro malgrado, ci lasceremo sfuggire attraverso il linguaggio del corpo”.
C’è un modo per utilizzare al meglio il silenzio e quindi riuscire a capire quando è meglio parlare o tacere?
“Capire quando e se è meglio parlare o tacere presuppone la conoscenza di alcuni criteri essenziali che regolano la comunicazione e la conoscenza del temperamento dell’interlocutore. Se ci atteniamo al contesto delle relazioni affettive non dovrebbe essere troppo difficile gestire il dialogo e il silenzio, che non sono necessariamente in contraddizione tra loro. Anzi. È proprio l’alternanza tra dialogo e sospensione della parola – ovviamente quando non sia l’espressione di ostilità e contrasti – a creare un adeguato equilibrio nelle relazioni affettive.
L’esigenza di esternare pensieri e sentimenti è frutto di una ricerca di intimità reciproca del tutto naturale e apprezzabile tra persone che si amano, ma, talvolta, è bene controllare il bisogno di condivisione per non imporsi all’altro in maniera poco rispettosa dei suoi spazi e dei suoi tempi.
Sono più spesso le donne a patire i silenzi e a sollecitare il dialogo ponendosi, però, in un atteggiamento di intransigente pretesa. Faticano a procrastinare un confronto, in attesa di un’occasione più favorevole per farlo. Generalmente, il controllo dell’impulso è reso più difficile da un elevato livello dell’ansia. Conviene darsi la possibilità di riflettere con più calma sulle proprie emozioni, sulle proprie responsabilità e su quelle altrui oltre, che sulle strategie concrete per uscire dall’impasse. Così come conviene evitare di travolgere indiscriminatamente il partner con accuse e rinfacci o di caricarlo del “peso” delle nostre eventuali confidenze, anche non richieste, senza considerare quali potrebbero essere il suo stato emotivo e la sua disponibilità all’ascolto in quella particolare circostanza”.
Come comportarsi, se il nostro partner non è loquace?
“Per avviare un’interazione con un’altra persona è indispensabile trovare un linguaggio comune, che è necessariamente fatto anche di parole. Nelle prime fasi della conoscenza reciproca, si sottovalutano aspetti peculiari dell’altro, cullandoci nell’illusione che potremo contribuire a cambiare le sue “cattive” inclinazioni. L’esperienza insegna che nessuno si snatura nel corso del tempo: per questo in ambito affettivo è fondamentale vagliare la compatibilità con l’altro, non distogliendo l’attenzione dai suoi tratti caratteriali e dalle modalità della comunicazione che ci risultano sgraditi. È importante entrare in un’ottica preventiva di sano realismo. Un individuo troppo silenzioso, per non dire mutacico, potrebbe non fare al caso nostro e procurarci un eccessivo livello di frustrazione.
Fatte queste premesse, in presenza di un partner per nulla loquace occorre diventare osservatori accurati dei segnali silenziosi del nostro interlocutore che comunque trasmettono messaggi. Si può poi tentare di coinvolgere l’interlocutore taciturno senza forzature, evitando atteggiamenti di vittimismo. Infine si può concedere una tregua, rinviando il confronto a un’occasione più propizia. Queste semplici indicazioni sono solo alcune delle strategie che potrebbero aiutare a superare l’impasse. Ma ricordate: ogni individuo è unico nella sua specificità”.
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