Come avviene l’elezione del Capo dello Stato

by • 2 gennaio 2022 • In evidenza, SOCIALECommenti disabilitati su Come avviene l’elezione del Capo dello Stato325

Il presidente della Repubblica, secondo quanto recita l’art. 83 della Costituzione, viene eletto dal Parlamento riunito in seduta comune, all’elezione partecipano anche tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale. Il mandato di Sergio Mattarella scadrà il 3 febbraio 2022 e trenta giorni prima il Presidente della Camera, Roberto Fico, dovrà convocare in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali. Per permettere ai Consigli regionali di eleggere i propri delegati la seduta ufficiale si svolgerà circa 20 giorni dopo, si ipotizza quindi l’inizio dell’elezione intorno al 23 gennaio ma una data certa ancora non c’è. L’elezione avviene per scrutinio segreto e sono necessari i due terzi dell’assemblea, ma dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. I grandi elettori, ovvero senatori, deputati e delegati regionali votano nella segretezza dell’urna all’interno di una cabina elettorale posta nell’Aula di Montecitorio ribattezzata “catafalco” e lo spoglio viene effettuato dal presidente della Camera che legge pubblicamente i nomi dei candidati. Ricordiamo che può essere eletto presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto 50 anni d’età e goda dei diritti civili e politici.

Dal 1946 ad oggi sono stati 12 gli inquilini del Colle. L’elezione più lunga e complicata è stata quella di Giovanni Leone nel 1971, eletto solo al 23esimo scrutinio. Il presidente più votato nella storia repubblicana è stato Sandro Pertini nel 1978 ma anch’esso con molti scrutini, ben 16. Nel 1985 l’elezione record e con ampissima maggioranza, già al primo scrutinio, è quella di Francesco Cossiga che a soli 57 anni diventa anche il più giovane presidente della storia. Per la maggior parte del suo mandato ha ricoperto un ruolo da “notaio”, ma tra la fine degli anni ottanta e inizio anni novanta parte una fase di conflitto e di polemica politica, abbandona ogni formalismo e viene ribattezzato “il picconatore”. Riceve una procedura di impeachment dal Pds. Si dimette nel 1992 con un discorso televisivo di 45 minuti.

È il 1992 quando Francesco Cossiga lascia il Quirinale con due mesi di anticipo, un anno tormentato dall’inizio di Mani Pulite, dalle stragi di Capaci e via D’Amelio dove morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un’Italia scossa da corruzione, mafia e tritolo. Al governo c’è Giulio Andreotti mentre Bettino Craxi e Arnaldo Forlani sono alla guida di Psi e Dc, i due grandi partiti che attraverso i voti in Parlamento decideranno chi siederà al Colle. L’accordo fra i tre prevede Craxi a Palazzo Chigi e uno tra Forlani e Andreotti al Quirinale. Forlani va a trovare Andreotti nella sede del governo, scena immortalata anche nel film di Paolo Sorrentino “Il Divo”, e sembrerebbe che sia stato lo stesso Forlani a sfilarsi e a rassicurare Andreotti: sarà quest’ultimo il nuovo presidente della Repubblica. Ma nella sede dello scudocrociato c’è fibrillazione e malcontento, tanto che alla fine il candidato ufficiale è Forlani, che però alla prova dei fatti non raggiungerà mai il quorum. Capaci, 23 maggio del 1992, una bomba uccide il giudice Giovanni Falcone, la compagna Francesca Morvillo e cinque uomini della scorta. Tutto questo mette fine allo spettacolo avvilente dei partiti a Montecitorio, Marco Pannella propone il democristiano Oscar Luigi Scalfaro, allora presidente della Camera, che il 25 maggio del 1992 viene eletto nuovo Capo di Stato.

Ancor più rapida di quella del picconatore è stata l’elezione di Carlo Azeglio Ciampi quando nel 1999, grazie a un accordo ampio e trasversale dei partiti presenti in Parlamento, al primo scrutinio e in meno di tre ore è diventato presidente della Repubblica. Ciampi è stato tra i Capi di Stato con un alto indice di gradimento popolare. Il suo settennato ha attraversato gli anni della nascita e dell’entrata in vigore della moneta unica europea, l’euro. È stato spesso contrapposto a Silvio Berlusconi durante i suoi governi, ma da più parti è arrivata la richiesta di un settennato bis da lui respinta.

Giorgio Napolitano il primo presidente con un bis
Bis accettato, per certi versi obbligato dal momento storico, da Giorgio Napolitano unico presidente nella storia rieletto per un secondo mandato. Alla scadenza del suo settennato Napolitano, allora 87 anni, aveva più volte ribadito l’indisponibilità a una rielezione, ma a causa di una crisi istituzionale determinata dai partiti politici incapaci di riformare il Paese e soprattutto di trovare un accordo su un nome, gli stessi dopo aver bruciato due nomi di rilievo come Franco Marini prima e Romano Prodi poi, esercitano forti pressioni al Capo di Stato uscente per accettare un secondo mandato. La vicenda dell’ex premier Romano Prodi è stata eclatante, candidato prestigioso e proposto dal Pd, suo stesso partito, allo scrutinio della quarta votazione ha avuto una defezione di ben 101 voti dai cosiddetti franchi tiratori, ovvero coloro che nel segreto dell’urna votano in dissenso dal loro gruppo parlamentare. L’accaduto ha provocato non solo un terremoto all’interno del Pd, con le dimissioni del segretario Pierluigi Bersani, ma ha portato i leader di partito a chiedere, se non implorare, Napolitano che accetta per senso di responsabilità, chiedendo però loro l’impegno a riformare le istituzioni. Il 20 aprile del 2013 Giorgio Napolitano diventa il primo presidente della Repubblica della storia rieletto per la seconda volta.

Gli accordi tra i partiti, uno tra tutti: il Patto del Nazareno
Il candidato alla presidenza della Repubblica necessita di un ampio consenso, non solo per la questione numerica (in quanto al terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta), ma soprattutto in virtù delle funzioni che esso svolge, come ad esempio la nomina del presidente del consiglio dei Ministri. Sergio Mattarella nel suo settennato ne ha nominati ben quattro: Gentiloni, Conte (due volte e con due diverse maggioranze) e Draghi. Per dirla in parole povere deve mettere d’accordo, ardua impresa, la maggioranza di partiti presenti in parlamento. Da qui nascono le infinite manovre per assicurare al Quirinale un inquilino condiviso e il più possibile super partes. Le settimane, se non i mesi, che precedono la convocazione del Parlamento sono caratterizzati da dialoghi, accordi sempre smentiti, incontri tra i leader di partito. Un accordo, rotto un anno dopo e rimasto nella storia, è il cosiddetto Patto del Nazareno, quando nel 2014 Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si incontrano alla sede del Partito democratico in largo del Nazareno (da qui il nome), per discutere delle riforme istituzionali da concordare, tra queste anche la legge elettorale, anche se di quanto c’era realmente scritto all’interno di quell’accordo ancora oggi non è dato sapere. Patto che dura un anno fino a quando si arriva all’elezione di Sergio Mattarella che scatena l’ira di Forza Italia secondo la quale il Cavaliere e Renzi avevano concordato il nome di Giuliano Amato per il Quirinale, ma alla prova dei fatti il Partito Democratico, ma soprattutto Matteo Renzi, ha tirato dritto sull’elezione di Mattarella violando, secondo Berlusconi, gli accordi presi.

Per arrivare a un nome condiviso ora servirà un dialogo che è nelle mani di una politica quanto mai litigiosa, con una legislatura che ha visto cadere due esecutivi e un terzo governo in carica composto da tecnici e da una maggioranza variegata. Trovare una personalità di alto profilo su cui convergere potrebbe essere il modo per tentare di far dimenticare il fallimento dei partiti negli ultimi anni, ma ad oggi il Pd resta con la bocca cucita e rimanda a gennaio ogni possibile nome o commento. Il Movimento 5 Stelle inizialmente aveva aperto alla possibilità di eleggere Draghi, ora auspica un dialogo con tutti i gruppi parlamentari per convergere su una persona che rappresenti l’unità nazionale con il presidente Giuseppe Conte chiude alla possibilità di votare Silvio Berlusconi, nome caldeggiato (forse) dal centrodestra anch’esso impegnato in un giro di valzer tra “Draghi si” e “Draghi meglio al governo”. Matteo Renzi nonostante i piccoli numeri di Italia Viva potrebbe essere ancora una volta l’ago della bilancia e non perde occasione per attaccare tutti gli altri leader di partito accusandoli di volere il voto anticipato. E poi ci sono loro, l’esercito del Gruppo Misto di Camera e Senato che in questi ultimi anni si è via via andando a ingrossare.

Il gioco del toto nomi. E se fosse una donna?
Anche questa volta la storia si ripete, i partiti sembrano ingarbugliarsi tra dichiarazioni e silenzi, l’ipotesi di un Mattarella bis, Mario Draghi tirato in ballo all’occorrenza, Silvio Berlusconi. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, in realtà è sempre stato considerato un successore naturale dell’attuale capo dello Stato, ma questa scelta potrebbe aprire la strada a elezioni anticipate, in quanto il mandato naturale di Draghi come presidente del Consiglio scadrebbe nel 2023. In molti sperano in un Mattarella bis con la durata di un anno, questo per permettere la fine della legislatura con il presidente del Consiglio ancora a Palazzo Chigi fino al 2023 per poi effettuare un trasloco al Quirinale. Ma Sergio Mattarella ha ripetuto più volte la sua indisponibilità. Il centrodestra punterebbe, almeno apparentemente, alla candidatura di Silvio Berlusconi, ma il nome del Cavaliere oltre ad essere divisivo, potrebbe essere bruciato ai primi scrutini e utilizzato da parte della coalizione per contare maggiormente sulla scelta di un’altra personalità che possa mettere d’accordo un’ampia maggioranza parlamentare.

Come sempre torna da più parti l’auspicio di eleggere finalmente una donna presidente della Repubblica, donne tirate in ballo a ogni elezione ma mai effettivamente prese in considerazione. Nella storia della Repubblica mai una donna è andata a Palazzo Chigi, mai una donna al Quirinale, addirittura è stato necessario attendere il 2018 per eleggere la prima presidente del Senato donna: Maria Elisabetta Alberti Casellati. Ma quali sono i nomi che circolano in queste settimane? Uno tra tutti l’attuale Guardasigilli Marta Cartabia, ma negli ultimi giorni un’altra (in questo caso ex) ministra della Giustizia, Paola Severino, vede salire le sue quotazioni. Si torna a parlare anche di due big della politica: Emma Bonino e Anna Finocchiaro. La prima, che siede ancora tra i banchi del Parlamento, è stata già tirata in ballo nel 1999 ma quell’anno sappiamo già com’è finita. Anche Finocchiaro ha un passato da possibile candidata, nel 2013 spunta il suo nome ma viene bruciata subito da Matteo Renzi. Una partita apertissima e ingarbugliata, quella per il Quirinale, che vedrà sciogliere i nodi solo a fine gennaio 2022, nel mezzo la gestione della quarta ondata da Covid-19 che sta travolgendo l’Europa, la variante Omicron, le risorse del Pnrr da mettere a terra. Tutto questo potrebbe portare a scenari imprevedibili.

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