La lira turca va a picco

by • 3 dicembre 2021 • ECONOMIA, ESTERI, In evidenzaCommenti disabilitati su La lira turca va a picco467

La moneta nazionale turca è scesa ai minimi storici, quando contro il dollaro americano ha toccato persino il -15%. “In Turchia non c’è una politica monetaria indipendente della Banca centrale, c’è invece una forte interferenza politica”. Lo spiega Valeria Talbot, Head of the Mediterranean and Middle East programme all’Ispi. Rendendosi protagonista della peggiore performance del mondo, “dal 2012 la lira ha perso l’82% del suo valore, di cui il 12% solo nell’ultima settimana”, dice l’esperta. La valuta ha recuperato fino al 7% ma la volatilità e l’aumento dei prezzi non smettono di preoccupare consumatori e investitori.

Se queste percentuali possono sembrare astratte, hanno invece immediati e pesanti effetti su quella che si definisce “economia reale”, quell’ambito economico che riguarda la produzione e distribuzione di beni e servizi. Tradotto: effetti sulla vita quotidiana delle persone. In alcuni supermercati iniziano già i primi razionamenti di prodotti come tè, olio e zucchero. Questo perché la svalutazione della moneta incide sui prezzi di molti prodotti basati sull’importazione, prezzi che si gonfiano senza tornare indietro, se non si interviene. Migliaia di persone sono già scese in piazza per chiedere le dimissioni del governo e altre si sono messe in coda alle stazioni di servizio in vista di un forte aumento dei prezzi della benzina.

“La visione economica che caratterizza la politica del presidente Recep Tayyip Erdogan”, spiega Talbot, “ha spinto infatti la Banca centrale a tagliare al 15% il suo tasso di riferimento la scorsa settimana”, innescando così la caduta libera della moneta. Una visione espansiva a ogni costo, anche se nel paese l’inflazione è al 20%. Quando l’inflazione è alta infatti di solito le banche centrali aumentano i tassi di interesse con l’obiettivo di raffreddare la domanda. “Le teorie di Erdogan invece vanno contro ogni considerazione macroeconomica, nella convinzione che i tassi di interesse vadano sempre mantenuti bassi per stimolare la crescita e gli investimenti”.

Nel paese infatti sembra che quando un governatore della Banca Centrale prova ad adottare una politica restrittiva venga rimosso dall’incarico. Il governatore attuale della Banca Centrale turca, Sahap Kavcioglu, è stato nominato lo scorso 20 marzo, dopo che Erdogan aveva licenziato il suo predecessore, Naci Agbal, nominato solo quattro mesi e mezzo prima, perché aveva annunciato di voler aumentare i tassi di interesse al 19%, quando allora l’inflazione si attestava al 16%. La nomina di Kavcioglu segnava allora il terzo cambio in 21 mesi ai vertici della Banca Centrale di Ankara. Agbal era infatti subentrato a Murat Uysal, il cui incarico era durato appena 16 mesi.

“I cambi al vertice sono un esempio lampante di quelle interferenze politiche nella gestione monetaria che caratterizzano il governo di Erdogan”, assicura Talbot. “Una convinzione che si basa sulla crescita che questi comportamenti avevano stimolato negli anni cosiddetti d’oro dell’economia del paese, quelli dal 2002 al 2012, quando c’erano stati importanti investimenti pubblici e un aumento dei consumi”. Ma adesso, continua, “la situazione è molto cambiata, non è più come dieci anni fa, quando il suo partito Akp aveva aiutato l’economia del paese, e certo c’era stato un aumento del pil ma a guardar bene non dell’economia reale”.

Oltre ai partiti dell’opposizione, anche chi prima faceva parte delle istituzioni inizia a rendere pubbliche le sue critiche. L’ex vicepresidente della Banca centrale Semih Tumen, scaricato per volere di Erdogan qualche settimana fa, ha lanciato un appello su Twitter per porre fine a quelli che ha definito “irrazionali esperimenti sulla lira turca”.

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