Con la fine della libera circolazione decade il diritto automatico dei cittadini europei a vivere in Gran Bretagna, che non fa più parte dell’Unione Europea. A partire da oggi i cittadini Ue che non si sono registrati perdono il diritto di residenza, anche se vivono e lavorano nel Regno Unito da decenni e anche se sono sposati con cittadini britannici.
Il ministero dell’Interno non ha voluto prorogare la scadenza del 30 giugno perchè, ha spiegato Kevin Foster, sottosegretario all’Immigrazione, avrebbe solo «creato confusione». Le autorità britanniche hanno promesso però di avere un «atteggiamento pragmatico e flessibile» verso chi non ha completato la registrazione.
Niente proroga
I ritardatari non sono pochi: numerose decine, forse centinaia, di migliaia di europei si trovano in un limbo legale, senza diritti all’assistenza sanitaria o a ricevere sussidi statali e a rischio, almeno teorico, di deportazione. Secondo il partito laburista, 130mila persone che attualmente ricevono sussidi non si sono registrati e rischiano quindi di non avere di che vivere. The Children’s Society calcola che oltre duemila bambini in affido non siano stati registrati.
Dati i numeri coinvolti, l’opposizione laburista ha chiesto invano una proroga di tre mesi per smaltire le pratiche inevase e dare tempo a chi non ha ancora fatto domanda di presentarla entro fine settembre. L’organizzazione che rappresenta gli interessi dei cittadini europei, the3million, ha proposto un rinvio di un anno della scadenza a causa della pandemia. Entrambe le richieste sono state respinte.
Il ministro: saremo ragionevoli
Il ministero dell’Interno ha fatto sapere che chi non si è ancora messo in regola riceverà una notifica e un invito formale a fare domanda entro 28 giorni. Saremo disposti a chiudere un occhio se le motivazioni per il ritardo sono «ragionevoli», ha detto Foster. Se si tratta di «persone vulnerabili o bambini i cui genitori non hanno fatto domanda per loro, avremo un atteggiamento pratico e compassionevole».
Il Governo ha sottolineato che la grandissima maggioranza degli europei che vivono nel Regno Unito ha chiesto e ottenuto il “settled status” o diritto di residenza permanente se residenti da almeno cinque anni e il “pre-settled status”, una sorta di anticamera, se arrivati nel Paese da meno di cinque anni.
Quasi 6 milioni di domande, 400mila senza risposta
Il sistema di registrazione è stato un grande successo, soprattutto perchè si è trovato a gestire un volume di richieste molto superiore alle previsioni. Oltre 5,6 milioni di domande sono state ricevute e, di queste, 400mila non hanno avuto ancora risposta. Quando il sistema era stato avviato, nel marzo 2019, si calcolava che ci fossero circa 3,7 milioni di cittadini europei in Gran Bretagna. Non sono state solo le autorità britanniche a sottovalutare le dimensioni della comunità, come dimostra il nome dell’organizzazione the3million, che a questo punto andrebbe ribattezzata the6million. Gli stessi europei evidentemente non avevano idea di quanti di loro avessero scelto il Regno Unito come patria elettiva quando Brexit era impensabile.
Italiani terzi tra i più numerosi
Gli italiani sono al terzo posto in classifica: dei 500.550 connazionali che hanno fatto domanda di residenza, 478.830 l’hanno ottenuta, secondo gli ultimi dati, e solo 21.720 sono stati respinti. I polacchi sono al primo posto con un milione di domande, seguiti dai rumeni con 900mila. Dopo gli italiani, ci sono i portoghesi al quarto posto con 400mila domande e gli spagnoli con 300mila circa.
Il grande punto interrogativo resta il numero di europei che non hanno fatto domanda per tante ragioni: perché vivendo qui da decenni non si sono resi conto che il loro diritto di residenza permanente è decaduto con Brexit, perché non sono stati informati, perchè sono persone vulnerabili o con malattie come l’Alzheimer, o perché non hanno dimestichezza con i computer e internet e il sistema di registrazione è online.
Tra gli esclusi involontari migliaia di italiani
Tra gli esclusi involontari ci sono migliaia di italiani, soprattutto anziani che si sono trasferiti in Gran Bretagna molti decenni fa, all’epoca della grande emigrazione dall’Italia. Il Consolato d’Italia, il Comites e l’Ambasciata hanno fatto il possible per raggiungerli e informarli, ma in tempo di pandemia è stata una missione difficile.
Resta da sperare che il ministero dell’Interno britannico proceda con cautela e comprensione. E’ difficile essere ottimisti in materia, secondo Jonathan Portes, professore di economia e public policy a King’s College London: «La cosa giusta da fare sarebbe essere pragmatici e partire dal presupposto che il settled status vada concesso a chi non lo ha ancora. Purtroppo il ministero dell’Interno ha dimostrato in passato di non sapersi comportare con umanità».
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