Mario Draghi, l’ex presidente della Bce che nel 2012, con l’Europa in fiamme, ha assicurato che sarebbe stato fatto tutto il necessario (“whatever it takes”) per salvare l’euro. Con la certezza preventiva che sarebbe stato sufficiente. E la storia gli ha dato ragione: la speculazione non ha travolto la moneta unica.
Mario Draghi, l’uomo che ha inventato il quantitive easing, cioè miliardi di titoli di Stato acquistati dalla Bce per immettere una valanga di miliardi nell’economia e abbassare lo spread dei Paesi più vulnerabili. Lo stabilizzatore politico dell’Europa insieme ad Angela Merkel negli ultimi 15 anni. Nessuno avrebbe mai pensato che fosse necessario ricordarlo, se non in qualche sparuto convegno di anti europeisti incalliti. E invece a dover rispolverare il peso politico di un curriculum eccezionale è stato Draghi. Al telefono, due volte, con Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea. Per salvare i soldi del Recovery che spettano all’Italia.
Mario Draghi, per dare attuazione al Recovery non esiterà a commissariare Comuni o Regioni che per ritardo o inerzia possono mettere a rischio gli obiettivi.
Perché Mario Draghi sa che l’Italia è chiamata a fare le riforme, ma anche a spendere, nei tempi concordati con l’Europa, i 248 miliardi che arriveranno nei prossimi cinque anni. A tranche: se i progetti non vanno avanti – e la garanzia deve trovare forma qui – il rubinetto dell’erogazione si chiude. Ora quel garantisco io diventa controllo io. Articolo 13 del decreto sulla governance: il “commissario” Draghi è il perno di quei poteri sostitutivi che gli permetteranno di togliere i soldi alla Regione o al Comune che “anche solo potenzialmente” metterà a rischio, per ritardo o inerzia, gli obiettivi dell’impegno e cioè trasformare le risorse in asili nido, piste ciclabili, parchi agrisolari e in tutto quello che prevedono i progetti del Recovery. Lo farà il premier attraverso il Consiglio dei ministri, ma soprattutto – e questo delinea l’assetto della governance politica – su input di un asse che parte dal Tesoro e arriva fino a palazzo Chigi, dove nascerà una segreteria tecnica che ha questo sottotitolo politico: il gabinetto di Draghi per il Recovery.
L’attivazione dei poteri sostitutivi aggiunge un tassello alla gestione centralizzata del Recovery a palazzo Chigi che è frutto del metodo Draghi. I passaggi decisivi danno l’idea della costruzione di questa centralizzazione: la scelta dei ministri tecnici (Cingolani, Colao e Giovannini) a cui affidare la fetta più grande dei soldi, la trasformazione del Tesoro del fidatissimo Daniele Franco nella centrale per il monitoraggio, la rendicontazione e il controllo. Ancora le nomine di Cdp e Fs in chiave Recovery per portare nella squadra i “ministri” per gli investimenti, a iniziare dall’altrettanto fedelissimo Dario Scannapieco. Non è solo una questione di poteri. Contano anche gli uomini che decidono insieme a Draghi e il luogo fisico dei poteri stessi. L’upgrade di palazzo Chigi come cabina di comando del Recovery non è solo la segreteria tecnica, ma anche – altra novità che emerge dalla bozza del decreto sulla governance – un’Unità per la qualità della regolazione, una struttura che potrà mettere mano alle leggi per non fare inciampare il Recovery in lungaggini e burocrazia.
Prima di passare in esame come Draghi ha deciso di costruire la governance del Recovery è utile mettere in fila un ultimo elemento generale che è anch’esso spia della centralizzazione a Chigi. Una governance si misura dai poteri dei soggetti che ne fanno parte, ma anche da quanto viene dato agli altri soggetti che sono coinvolti nel progetto. C’è chi i poteri non ce l’ha: a sindacati e imprese solo funzioni consultive. Potranno proporre, ma non decidere. E le Regioni, le Province e i Comuni – i cosiddetti soggetti attuatori – sono caricati di responsabilità: molti oneri, pochi onori.
I poteri sostitutivi possono arrivare fino al commissariamento
Se le Regioni, le Province e i Comuni non rispetteranno gli impegni e gli obblighi necessari per fare andare i progetti, allora il premier, su proposta della cabina di regia o del ministro competente, darà al soggetto attuatore 15 giorni di tempo. Il potere in mano a Draghi è rilevante perché – è bene ricordarlo – potrà attivarlo anche se il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del Recovery è “solo potenzialmente a rischio”. Spetterà poi al Consiglio dei ministri, attivato dal premier, procedere alla sostituzione del soggetto attuatore se l’inadempienza non si dovesse risolvere dopo i 15 giorni concessi. In questo caso si potrà arrivare anche alla nomina di uno o più commissari.
I consiglieri del premier, come si diceva, saranno la segreteria tecnica e il Servizio centrale per il Pnrr, il nome dato alla struttura che al Tesoro si occuperà di molte altre funzioni. Saranno loro i suggeritori che attiveranno Draghi nel caso in cui “un organo statale” dovesse ostacolare la realizzazione di un progetto del Recovery con un dissenso, un diniego o un’opposizione. La segreteria di palazzo Chigi, anche su impulso del ministero dell’Economia, proporrà al premier di portare quell’ostacolo sul tavolo del Consiglio dei ministri. Per arrivare a una decisione entro cinque giorni.
Le strutture e i poteri di palazzo Chigi
Il luogo decisionale per eccellenza sarà la cabina di regia presieduta da Draghi che avrà “poteri di indirizzo, impulso e coordinamento generale” sull’attuazione del Recovery. È vero che al tavolo, insieme al premier, siederanno a rotazione i ministri e i sottosegretari titolari della materia di un determinato progetto ed è vero anche che Draghi potrà delegare loro lo svolgimento di alcune attività, ma allo stesso tempo bisogna ricordare che ad avere in mano la fetta più grande dei progetti e dei soldi del Recovery sono principalmente i ministri tecnici.
Con esclusione della Lega, con il titolare dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, tutti gli altri partiti – a scendere il Pd, poi Leu e infine i 5 stelle – conteranno molto poco. Lo stesso decreto ricorda che il Comitato interministeriale per la transizione digitale e quello per la transizione ecologica, rispettivamente guidati da Colao e Cingolani, sono una cabina di regia nella cabina di regia, essendo titolari delle funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento tecnico di tutto quello che ha a che fare con il digitale e con il green, voci che assorbono 100 dei 191,5 miliardi del Pnrr.
Ma torniamo alla cabina di regia presieduta dal premier. Potrà fare molte cose e anche i cosiddetti doveri sono inquadrabili come poteri. Innanzitutto elaborerà indirizzi e linee guida per l’attuazione degli interventi del Recovery: darà la linea in altre parole. Poi effettuerà una ricognizione periodica sullo stato di attuazione dei progetti, insomma controllerà lo stato di avanzamento della costruzione di una ferrovia invece che di una pista ciclabile. Ancora esaminerà le criticità segnalate dai ministeri. Non solo cabina di regia. La segreteria tecnica a palazzo Chigi resterà in carica fino alla fine del 2026, coprendo quindi l’intero periodo del Recovery. Sarà il punto di raccordo con il Tesoro, l’altro grande polo della governance, perché riceverà proprio da via XX settembre gli esiti del monitoraggio sull’attuazione del Pnrr.
La centrale del Tesoro per il monitoraggio, la rendicontazione e il controllo
Se palazzo Chigi è la testa politica del Recovery, il Tesoro è la centrale dedicata al monitoraggio, alla rendicontazione e al controllo. Dentro la Ragioneria generale dello Stato nascerà una struttura ad hoc – Servizio centrale per il Pnrr – che si avvarrà di 60 neo assunti di alto profilo tra economisti, giuristi, informatici, statistici e ingegneri gestionali. Ci sarà poi una struttura dedicata all’audit, che sarà articolata sul territorio attraverso le Ragionerie dislocate in sette macro-aree del Pase. Il ministero dell’Economia sarà anche il punto di contatto unico con la Commissione europea a cui riferirà sui progressi compiuti nella realizzazione del Piano.
Dai progetti alla spesa. Il ruolo dei ministeri
Ogni ministero dovrà dotarsi di una struttura interna, prendendo dirigenti già a lavoro o istituendo un nuovo ufficio, per gestire gli interventi di cui è titolare. Nella piramide della gestione dei soldi del Recovery, i ministeri sono posizionati sotto al Tesoro. Al ministero dell’Economia dovranno fornire gli elementi necessari per trasmettere le richieste di pagamento alla Commissione europea, ma dovranno anche rilasciare i dati finanziari degli investimenti e delle riforme, oltre ad aggiornare sempre il Tesoro sull’avanzamento dei progetti. Ma ai ministeri sarà chiesto anche di fornire un contributo sul fronte del monitoraggio della spesa: dovranno vigilare, infatti, sulla regolarità delle procedure e delle spese, adottando tutto quello che è necessario per prevenire e sanzionare irregolarità o un utilizzo indebito dei soldi.
I soldi del Recovery fanno riferimento a quasi tutti i ministeri, dal green al digitale, dalla scuola al lavoro. Dovranno finire nei bandi di gara per la selezione dei progetti e anche qui i ministri avranno un ruolo di prevenzione perché dovranno prevedere clausole di riduzione o meccanismi di revoca di contributi in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi previsti nei tempi assegnati, oltre a riassegnare le somme scorrendo le graduatorie.
E quello di Regioni e Comuni
Le Regioni, le province, le Città metropolitane e i Comuni sono i soggetti attuatori. Il punto di contatto più vicino tra le istituzioni e ad esempio l’impresa che deve costruire un asilo nido. Dovranno utilizzare le proprie strutture, ma potranno avvalersi anche di società pubbliche e questo per rendere gli interventi tempestivi.
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