La cultura naturalistica in Italia è pressoché assente. Difficile trovare una persona che sappia come si riproducano i rospi o qual è la differenza tra una specie vivipara o ovovivipara. Tuttavia in questi anni ho notato che, appena si citano le api, subito lo sguardo dell’interlocutore brilla di un nuovo interesse. Sappiamo ormai che sono molto importanti per l’equilibrio della natura ma le nozioni sulla loro vita restano in genere piuttosto nebulose. Del resto i naturalisti stessi hanno impiegato molti secoli per capire — e accettare — che un alveare sia governato da una regina e non da un re e che, in questo mondo di ossessiva perfezione, sia mantenuto da una casta di operose femmine.
Le domande sono sempre tante e a ogni risposta di solito si aggiunge un’altra domanda ancora più meravigliata. Possibile che esseri così piccoli abbiano raggiunto un grado di complessità così alto e che su di loro si continuino a scoprire sempre nuove cose? Il primo passo da fare sarebbe quello di imparare a distinguere un’ape da una vespa, cosa per molti piuttosto difficile. Tutto ciò che è giallo e nero, nella nostra mente, risulta pericoloso e dunque temo che molte api, complice questa confusione classificatoria, facciano una brutta fine. Ci sono molte cose importanti da fare per aiutare le api a sopravvivere e una parte di queste sono in mano alla politica agraria. Vietare alcuni veleni è fondamentale, così come sarebbe fondamentale evitare le coltivazioni intensive. Ma anche ogni singolo cittadino — io ho trovato delle api anche nel cuore pulsante di Milano — può fare qualcosa per loro. Mettere delle piante mellifere sul balcone, ad esempio, e offrire dei luoghi in cui abbeverarsi. Le api hanno un estremo bisogno di acqua. Per aiutarle, bisogna mettere un sottovaso, magari con una spugna impregnata di acqua, in modo che possano atterrare, bere, e ripartire senza rischio di affogare.
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