“Di solito, quando raggiungo un accordo provo gioia. Oggi provo soddisfazione e sollievo”. Ursula von der Leyen annuncia così la sospirata intesa con Londra sulla Brexit. Sminata la scadenza del 31 dicembre, schivato il ‘no deal’ e i suoi dazi doganali. A valle degli ultimi giorni e notti intensissimi di negoziati a Bruxelles tra i team guidati rispettivamente da Michel Barnier per l’Ue e David Frost per il Regno Unito, Londra sarà ‘finalmente’ fuori dall’Unione a partire dal primo gennaio, a 4 anni e mezzo dal referendum su Brexit nel 2016.
“Abbiamo ripreso il controllo delle nostre leggi e del nostro destino”, dice Boris Johnson, che riesce a chiudere l’anno meglio di quanto abbia fatto finora in pandemia, ma su Brexit il suo bottino è magro e gli porta serie ‘grane’ in Scozia che freme per l’indipendenza. Dall’altra parte, c’è una Unione sollevata e una presidenza di turno tedesca, guidata da Angela Merkel, che può vantare anche questo risultato.
Johnson ottiene che eventuali controversie con Bruxelles non vengano esaminate dalla Corte di Giustizia europea e nemmeno da un meccanismo automatico di allineamento agli standard dell’Unione. Se Londra viola gli accordi sulla concorrenza, l’Ue può rispondere con delle sanzioni. “Ci sono gli strumenti per difenderci se i patti vengono violati”, assicura von der Leyen.
Il premier Tory assesta un duro colpo all’Unione con la scelta di lasciare il programma Erasmus, che complica tanto la vita degli studenti europei che vogliano studiare nel Regno a partire dall’autunno 2021. Ma la decisione danneggia anche gli studenti britannici che vogliano studiare in Ue. Decisione “difficile – abbozza Johnson – ma era estremamente costoso. Ora potremo mettere a punto un programma che consentirà agli studenti britannici di andare a studiare in tutto il mondo e non solo nelle università europee”.
Sul resto Downing Street cede. E tanto.
Pesca: il tema che ha rischiato di far deragliare le trattative verso un pericolosissimo ‘no deal’, il premier britannico chiedeva che gli europei diminuissero la loro quota di pescato nella Manica dell’80%. Riesce a ottenere solo una riduzione del 25 per cento per i prossimi 5 anni e mezzo. Allo scadere di questi accordi, dopo giugno 2026, si negozierà un’intesa annuale. Ma se non venisse raggiunta, il sistema pattuito oggi verrebbe rinnovato ogni tre mesi.
Sui servizi finanziari il ‘deal’ piazza un’ipoteca sul futuro di Londra come City degli scambi. E Johnson non può che ammettere: “Non abbiamo ottenuto quello che volevamo…”.
E poi c’è la ‘grana’ della Scozia, che programma l’indipendenza da Londra. Ecco il tweet della premier scozzese Nicola Sturgeon, che, tra l’altro, definisce “vandalismo culturale” la scelta del governo di lasciare il programma Erasmus.
“Before the spin starts, it’s worth remembering that Brexit is happening against Scotland’s will. And there is no deal that will ever make up for what Brexit takes away from us. It’s time to chart our own future as an independent, European nation.”
— Nicola Sturgeon (@NicolaSturgeon) December 24, 2020
Gli scozzesi finiscono penalizzati anche nell’export. Il Regno potrà continuare a esportare animali e prodotti ortofrutticoli in Europa, nel rispetto degli standard del mercato unico e previa verifica da parte di Bruxelles, ma non potrà esportare le patate da semina, un business che frutta alla Scozia 112milioni sterline l’anno.
In conferenza stampa davanti al numero 10 di Downing Street, Johnson, il leader più ‘brexiteer’ dei due che l’hanno preceduto in questi 4 anni e mezzo di delirio, David Cameron e Theresa May, si ritrova a dover usare un linguaggio contenuto, per lui nuovo. Pieno di promesse per il futuro, più che di celebrazione dell’accordo fatto. Atteggiamento tipico di chi non ha molto da sfoggiare, se non il fatto di aver compiuto la Brexit, evitando quel pericoloso ‘no deal’ che pure è stato usato tante volte da Londra nelle trattative: più minaccia che reale opzione.
“Il compromesso non è una brutta parola”, dice il premier che solo pochi mesi fa aveva osato approvare l’Internal market bill, nel tentativo di violare gli accordi sul confine tra le due ‘Irlande’. Ha dovuto fare marcia indietro anche su questo. Anche qui l’Europa è riuscita a ottenere che non ci sia un confine fisico tra i territori di Belfast e Dublino.
“Una cosa è guadagnare la libertà, altra è come la usi”, è il tentativo di guadagnare tempo per Johnson. Il futuro fuori dall’Unione è un’incognita, soprattutto in tempi di pandemia e senza l’alleato Donald Trump alla Casa Bianca.
“Il covid ha reso più difficili i negoziati”, ammette von der Leyen, ma “alla fine di una strada lunga e tortuosa, abbiamo raggiunto un accordo giusto e bilanciato, la cosa più responsabile da fare per entrambe le parti. Adesso possiamo lasciarci la Brexit alle spalle e andare avanti”.
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