Fumare un sigaro cubano accompagnandolo a un bicchiere di rum è da decenni uno status symbol in tutto il mondo. Nel 1962, a qualche anno di distanza dalla rivoluzione castrista, il presidente americano John Kennedy vi impose l’embargo, ma poco prima di renderlo esecutivo ordinò al suo addetto stampa l’acquisto di mille sigari. I più famosi sono gli Habanos, prodotti da una società controllata dallo stato, monopolista dei marchi sull’isola, e che risultano essere quelli di maggiore qualità al mondo. Una scatola da 25 sigari può costare anche migliaia di euro. Prezzi proibitivi per la stragrande maggioranza dei consumatori globali e forse anche per questo i sigari cubani continuano ad essere molto ambiti. Poco importa che paesi come il Nicaragua e la Repubblica Dominicana da anni producano ed esportino ovunque concorrenti di assoluto rispetto sul piano qualitativo, pur a prezzi nettamente inferiori.
Si stima che fino al 95% dei sigari cosiddetti “cubani” venduti e fumati nel mondo siano contraffatti, cioè derivino da altri paesi. Pur risultando spesso di ottima qualità, non sembrano ancora del tutto comparabili con l’originale. Gli Habanos, ad esempio, sono prodotti esclusivamente sull’isola, ma non tutti i sigari cubani possono essere venduti sotto questo marchio, perché per rientravi devono possedere le migliori caratteristiche fissate dagli standard di produzione.
Come si produce un sigaro cubano
Come si spiegano prezzi così esorbitanti e lo stesso mito dei sigari cubani? Il procedimento che porta alla loro vendita sul mercato è lungo e laborioso, lo stesso da circa 200 anni. Dura non meno di 12 mesi, cioè dal momento in cui le foglie germogliano, crescono e successivamente sono raccolte ed essiccate nei cosiddetti “secadores”, prima che siano messe a fermentare con un qualche aroma per dare loro il gusto richiesto.
Non c’è foglia che non venga ispezionata da una figura nota come “torcedor”, un punto di riferimento per la società cubana.
Esistono varie tipologie di foglie: il “lingero” dà la forza al sigaro, il “seco” l’aroma e il “volado” permette la combustione. Infine, un’altra foglia avvolge le precedenti per rivestire il sigaro.
Il processo di essicazione e di fermentazione può durare anche anni e più è lungo, più fumare il sigaro costa. In generale, il prezzo di vendita dipende anche dalla lunghezza e dal diametro. Quanto all’area di produzione, il 70% si ha nella provincia più occidentale dell’isola, Pinar del Rio. Le condizioni del suolo, climatiche e la manifattura locale di grande esperienza rendono il prodotto unico al mondo.
Il mercato dei sigari vale globalmente circa 20 miliardi di dollari. Chiaramente, solo una parte della domanda viene soddisfatta da Cuba. L’aspetto più paradossale consiste nel fatto che il primo consumatore mondiale di sigari cubani sono gli USA. Malgrado l’embargo, infatti, il contrabbando ha reso possibili gli acquisti in tutti questi decenni, sebbene una percentuale altissima delle scatole importate siano state produzioni non originali. L’amministrazione Obama aveva parzialmente allentato l’embargo, consentendo ai viaggiatori americani di portarsi a casa gli ambiti sigari. Tuttavia, a settembre il presidente Donald Trump ha rimosso l’eccezione, ripristinando il divieto totale d’importazione, probabilmente in ottica elettorale. Uno degli stati in bilico per le presidenziali del 3 novembre è la Florida, meta di tanti esuli cubani anti-castristi, i più duri contro L’Avana.
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