Aggiornamento del 27 settembre ore 21:22
Refendum, la Svizzera vota no
La Svizzera resta agganciata all’Europa e si tiene stretta la manodopera straniera. Gli elettori hanno respinto oggi a larga maggioranza una proposta di legge che rischiava di avere effetti dirompenti e trasformarsi in una sorta di Brexit elvetica. I votanti hanno infatti detto no all’l’iniziativa della destra sovranista per porre fine alla libera circolazione delle persone con l’Ue. Poco prima delle 17 è stato completato lo spoglio in tutti i cantoni: i no hanno prevalso con il 61,7 dei voti espressi. Anche i primi dati, resi noti dall’istituto gfs.bern poco dopo la chiusura dei seggi del referendum, parlavano di una vittoria dei no con percentuali tra il 63 e il 67 per cento. Solo 4 i cantoni che si sono espressi controcorrente, dando la vittoria ai sì; tra questi il Ticino dove lavorano oltre 60.000 italiani e dove i favorevoli alla proposta sono stati il 53,1 del totale.
La sconfitta dei promotori della consultazione anti immigrazione appare ancor più cocente di quanto le previsioni lasciavano intendere. L’Udc, il partito di destra promotore dell’iniziativa, ha subito ammesso la debacle. «Ha prevalso la clausola ghigliottina« ha detto la vicepresidente Celine Amaudruz. Allude al fatto che il no alla libera circolazione avrebbe trascinato nel baratro altri accordi che Berna ha con Bruxelles e che riguardano tra l’altro l’accesso al mercato Ue per le imprese elvetiche e il destino ci oltre 500.000 cittadini svizzeri che risiedono in paesi comunitari.
I dati riguardanti lo spoglio delle schede hanno subito confermato quanto emerso dalle indagini demoscopiche. Il Canton Grigioni, tra i primi a completare lo spoglio delle schede, ha respinto la richiesta di chiusura delle frontiere con il 59% dei consensi. La porzione di votanti è limitata ma il risultato è significativo: i Grigioni confinano con l’Italia e sono tra quelli che assorbono immigrazione dal nostro Paese, dalla Valtellina in particolare.
In Ticino le urne (il risultato definitivo è arrivato poco prima delle 15) confermano le proiezioni: i sì prevalgono con il 53,1%, in controtendenza rispetto al resto del Paese. Al contrario, Basilea respinge la proposta sovranista con il 74,6%, Ginevra e Zurigo con il 69.
Il quesito referendario, che giungeva a 50 anni esatti dalla prima consultazione che rischiava di determinare l’espulsione di 300.000 Basileaitaliani (la proposta fu respinta con il 54% dei voti), chiamava i cittadini a esprimersi su un progetto di legge chiamato «Per un’immigrazione moderata».
Il progetto, promosso dai partiti della destra nazionalista e in particolare dall’Udc (il Partito della destra svizzera), chiedeva di introdurre una modifica alla Costituzione svizzera che vieti qualsiasi trattato di libera circolazione delle persone. Ciò avrebbe determinato l’automatica decadenza dell’accordo in vigore con la Ue, che include anche la Svizzera nel cosiddetto «spazio Schengen» e che in pratica consente a tutti i cittadini comunitari di varcare liberamente i confini elvetici (e viceversa).
Se i sì avessero prevalso, Berna avrebbe avuto 12 mesi di tempo per negoziare un nuovo accordo con Bruxelles. Ma l’attuale accordo con l’Unione europea contiene anche una clausola in base alla quale la fine della libera circolazione avrebbe fatto crollare altri 6 accordi riguardanti tra le altre cose l’accesso delle imprese svizzere ai mercati europei o la libertà dei trasporti.
Secondo l’Udc, il partito di destra sostenitore del referendum, l’immigrazione in Svizzera ha superato la soglia critica: il 24% delle persone attualmente residenti nel Paese sono stranieri, e a loro vanno aggiunti i cosiddetti «frontalieri» (lavoratori pendolari che entrano ed escono ogni giorno dalla Confederazione, oltre 60.000 solo dall’Italia).
Intanto, però, il governo del Canton Ticino ha avviato un’accanita verifica su tutti i permessi (di residenza o di lavoro) rilasciati a italiani: la Rsi – il canale di lingua italiana della tv pubblica – ha rivelato che la polizia ha effettuato perquisizioni domiciliari, appostamenti, indagini sul passato dei possessori del permesso.
In Svizzera si votava anche su altri quesiti: i cittadini hanno approvato un congedo di paternità esteso a due settimane, mentre si sono divisi sull’acquisto di nuovi cacciabombardieri per un totale di 6,5 miliardi di euro.
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Articolo del 24 settembre 2020
Una Brexit svizzera
La Svizzera riprova a mettere un argine di legge all’immigrazione. A 50 anni esatti dalla prima consultazione che rischiava di determinare l’espulsione di 300.000 lavoratori italiani (1970: la proposta fu respinta con il 54% dei voti), domenica 27 settembre i cittadini elvetici torneranno a esprimersi su un progetto di legge chiamato «Per un’immigrazione moderata». Nella sostanza l’iniziativa chiede di abolire gli accordi sulla libera circolazione delle persone sottoscritti da Berna con la Ue. Se approvata, la proposta potrebbe innescare un «effetto domino» che si tradurrebbe in una sorta di «Brexit svizzera». Promotori del referendum sono i partiti della destra nazionalista; il governo ha invece espresso parere contrario alla revoca degli accordi.
Una Brexit svizzera
Il quesito chiede di introdurre una modifica alla Costituzione svizzera che vieti qualsiasi trattato di libera circolazione delle persone. Ciò determinerebbe l’automatica decadenza dell’accordo in vigore con la Ue, che include anche la Svizzera nel cosiddetto «spazio Schengen» e che in pratica consente a tutti i cittadini comunitari di varcare liberamente i confini elvetici (e viceversa). Se domenica i sì prevalessero, Berna avrebbe 12 mesi di tempo per negoziare un nuovo accordo con Bruxelles, altrimenti le frontiere si chiuderanno automaticamente entro altri 30 giorni. Ma l’accordo con la Ue contiene una clausola in base alla quale, la fine della libera circolazione farebbe crollare altri 6 accordi riguardanti tra le altre cose l’accesso delle imprese svizzere ai mercati europei o la libertà dei trasporti.
Le ragioni del sì: immigrazione sproporzionata
L’Udc, il partito di destra sostenitore del referendum, sostiene che attualmente l’immigrazione in Svizzera abbia superato la soglia critica: il 24% delle persone attualmente residenti nel Paese sono stranieri, a loro vanno aggiunti i cosiddetti «frontalieri» (lavoratori pendolari che entrano ed escono ogni giorno dalla Confederazione, oltre 60.000 solo dall’Italia). Tutto questo, secondo l’Udc, ha come primo effetto un calo dei salari medi per gli svizzeri. «Mettiamo fine all’immigrazione incontrollata e sproporzionata» sostengono chiedendo che di fatto la Svizzera torni ad avere il controllo dei suoi confini. L’Udc è lo stesso partito che promosse il referendum del 2014 che chiedeva l’introduzione di «quote» di lavoratori stranieri: la richiesta passò ma si rivelò di fatto impraticabile.
Le ragioni del no: l’Europa è un vantaggio
Molto ampio e composito è invece il «fronte del no», a partire dal governo e dalle organizzazioni imprenditoriali: lo stop all’ingresso degli stranieri determinerebbe una forte crisi nel reperimento della manodopera e un calo del pil stimato tra il 3 e il 4% nel giro di una decina di anni. D’altro lato, si troverebbero con ogni probabilità in mezzo a una via i circa 500.000 cittadini svizzeri che oggi lavorano all’estero. «Grazie agli accordi bilaterali con l’UE – ecco la presa di posizione espressa dal governo sul sito ufficiale – le imprese svizzere, in particolare le PMI, hanno un accesso diretto al loro principale mercato. Senza questo accesso sarebbero meno competitive. Gli investimenti nella piazza economica svizzera diminuirebbero e la produzione verrebbe vieppiù trasferita all’estero. Il commercio con l’UE risulterebbe più difficile e i prezzi in Svizzera aumenterebbero». L’iniziativa finirebbe insomma per creare più problemi di quanti vuole risolverne.
Dai sondaggi pochi chances
Quante probabilità ha di passare una «Brexit svizzera»? I sondaggi non prevedono grandi chances di affermazione, anche se i numeri divergono. Un’indagine commissionata dal canale di lingua tedesca della tv di Stato il 20 agosto scorso assegnava ai no il 61% dei consensi. Un analogo sondaggio dell’agenzia «Tamedia» vede la partita risolversi 56 a 41 sempre a favore del no.
Il Canton Ticino alla «guerra»
Nel frattempo, sempre in tema di immigrazione, c’è un altro fronte aperto in Svizzera. Il governo del Canton Ticino ha avviato una puntigliosa e accanita verifica su tutti i permessi (di residenza o di lavoro) rilasciati a italiani. Una servizio della Rsi – il canale di lingua italiana della tv pubblica – ha rivelato che la polizia ha effettuato perquisizioni domiciliari, appostamenti, indagini sul passato dei possessori del permesso. Le revoche sono fioccate (magari per via di un consumo ritenuto troppo basso di energia elettrica domestica o per una condanna penale riportata 30 anni addietro) suscitando lamentele e ricorsi. Ma chi si è appellato al tribunale amministrativo chiedendo la restituzione del permesso, si è visto dare ragione in circa la metà dei casi.
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