La Cina è una fragile Potenza in ascesa?

by • 24 settembre 2020 • ESTERI, In evidenzaCommenti disabilitati su La Cina è una fragile Potenza in ascesa?1038

Nella sua ascesa, la Repubblica Popolare dovrà risolvere i grandi problemi interni, che la rendono una fragile rising power. L’economia sta crescendo più lentamente, esacerbata dalla distruzione ambientale, dalla rampante corruzione, dall’aumento del divario tra ricchi e poveri, dagli enormi debiti per gli enti locali e dalle sfide demografiche conseguenti al fatto di essere il primo paese a diventare vecchio prima di diventare ricco.

Le previsioni del sorpasso dell’economia cinese nei confronti di quella americana sono realistiche ma tengono poco conto della difficolta insita nel mantenere ritmi di crescita così alti, della dipendenza energetica cinese (gli americani nel 2030 dovrebbero raggiungere l’autosufficienza energetica) e della tenuta sociale del paese.

Un rallentamento dell’economia metterebbe in crisi la promessa di Deng Xiaoping ed è causa di forti pressioni nei confronti della leadership cinese e del risentimento di un popolo che non crede più che il partito comunista possa riuscire a muoversi dalle sue posizioni autoritarie ed evolvere verso una governance più concertata. Washington sta facendo leva su queste debolezze, in questo senso si dovrebbe leggere il cambio di marcia impresso dalla presidenza Trump che imponendo dazi, contrastando i colossi imprenditoriali cinesi (Huawei, Cosco, ZTE, ecc.) e mettendo i bastoni fra le ruote ai progetti cinesi si pone l’obiettivo di rallentare la crescita dell’economia cinese, rompendo così il patto sociale (i figli saranno più ricchi dei genitori) su cui si fonda il consenso del regime e il rapporto élite-popolo.

L’ascesa cinese dipende molto dagli sviluppi interni: per continuare a crescere, la Cina deve mettere in ordine casa. Sebbene la Cina sia una potenza in ascesa e allo stesso tempo uno sfidante degli Stati Uniti sarà molto difficile per lei fondare un ordine alternativo, fino a quel momento la Cina sarà costretta a comportarsi da challenger collaborativo volendo raggiungere obiettivi in contrasto con quelli degli Stati Uniti nel frattempo li sfiderà all’interno del sistema attuale.

La Cina si pone come riformatrice dell’ordine dal punto di vista legislativo, in collaborazione con le altre potenze, per cambiare l’ordine dal di dentro e fare in modo che i rapporti istituzionali e giuridici rappresentino più fedelmente i rapporti di forza attuali. La strategia seguita dalla Cina non è, ad oggi, di tipo rivoluzionario ma implica, piuttosto, una progressiva spinta per la revisione dello status quo nei settori che la leadership cinese ritiene vitali per la sicurezza nazionale e per lo sviluppo dell’impero del centro.

L’approccio cinese si avvicinerebbe, quindi, molto di più al modello reformist revisionist per cui la potenza in ascesa praticherebbe una costante opera di resistenza nei confronti delle caratteristiche dell’ordine internazionale che ostacolano il suo interesse nazionale, mentre approfitterebbe dei benefici che la stabilità e il sistema internazionale procurano (free-riding).

Più che a una transizione di potere, la Cina mirerebbe, quindi, ad una sua diffusione per la creazione di un «ordine negoziato» che le permetterebbe di modificare i segmenti dell’ordine internazionale e dei complessi di sicurezza regionali che ostacolano il perseguimento del proprio interesse nazionale.

Concludendo, Pechino non intenderebbe soppiantare l’ordine globale ma cambiarlo dall’interno, almeno fino a quando non avrà la forza di proporne uno alternativo. Oggi, la Cina ha progettato i fondamenti di questo ordine futuro, ma ci sono settori in cui l’impero del centro non riuscirà a medio termine a sostituire il sistema americano con una governance globale sinocentrica.

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