Magari il problema fossero i piloti! O magari fosse uno dei due: Leclerc colpevole del botto di domenica scorsa, o Vettel per l’incidente di sette giorni prima.
Il disastro Ferrari è una storia che viene da lontano. E che non finirà troppo presto. Nel 2014… Sergio Marchionne, uomo forte di Fca, liquida Montezemolo con questa motivazione: non si vince da troppo tempo, l’ultimo titolo costruttori risale al 2008, non se ne può più di sconfitte.
Dal 1997 in poi, la Ferrari di Montezemolo ha conquistato 6 mondiali piloti e otto a squadre, perdendo sei campionati all’ultima gara. Dal 2015, non è mai arrivata alla tappa finale ancora in lizza.
In realtà Marchionne si innamora del reparto corse. Nomina Maurizio Arrivabene team principal, sceglie Vettel al posto di Alonso, intuisce il talento enorme di Leclerc e lo fa crescere nella Accademia di famiglia.
La Ferrari si priva dei migliori uomini per fare spazio alle seconde e terze linee, sperando nel fiorire del talento nascosto, ha solo una certezza: il segno meno di chi va via. Sicché oggi la Mercedes costruisce un’astronave sotto la guida di James Allison che nel 2016 fu seccamente allontanato dalla Ferrari, e si è presa anche altri fuorusciti da Maranello, mentre la Red Bull cresce con Adrian Newey; mostri sacri contro i quali gli attuali ingegneri della Ferrari, per quanto bravi, non possono molto.
La separazione della carriere in Ferrari
Poi c’è la questione anche più seria della separazione delle carriere: non si può essere team principal e de facto il responsabile del progetto. E’ dura per Binotto pensare a tutto e rispondere a tutti. E come fa a chiedere più budget a sé stesso, e magari a negarselo?
Supponiamo ora che il direttore tecnico di fronte a un progetto fallito voglia rassegnare le dimissioni, e queste vadano respinte perché l’uomo merita fiducia: si può star seduti da una parte e dall’altra della scrivania? No, non può funzionare, e infatti non funziona.
Così come è strutturata l’azienda della Rossa, non si va da nessuna parte.
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