La gentilezza, un piacere proibito

by • 23 aprile 2020 • In evidenza, SOCIALECommenti disabilitati su La gentilezza, un piacere proibito887

La gentilezza è diventata un piacere proibito. In un certo senso è sempre rischiosa, perché si fonda sulla sensibilità nei confronti degli altri e sulla capacità di identificarsi con i loro piaceri e con le loro sofferenze. Ma anche se il piacere della gentilezza è rischioso, è una delle cose più appaganti che abbiamo.

La gentilezza, disse l’imperatore e filosofo Marco Aurelio, è la delizia più grande dell’umanità. Nel corso dei secoli altri pensatori e scrittori hanno espresso lo stesso parere. Oggi, invece, molte persone pensano che questa idea sia inverosimile o, quanto meno, molto sospetta. Nella nostra immagine degli esseri umani, la gentilezza non è un istinto naturale: siamo tutti pazzi, cattivi, pericolosi e profondamente competitivi. Le persone sono mosse dall’egoismo e gli slanci verso il prossimo sono forme di autoconservazione.

Per gran parte della storia occidentale la gentilezza è stata legata alla cristianità, che considera sacri gli istinti generosi delle persone e li mette alla base di una fede universalistica. Per secoli la carità cristiana ha fatto da collante culturale, tenendo uniti gli individui di una società. Ma dal cinquecento in poi il comandamento cristiano “ama il prossimo tuo come te stesso” ha subìto la concorrenza dell’individualismo. Il Leviatano (1651) di Thomas Hobbes considera la generosità cristiana psicologicamente assurda. Gli uomini, sostiene Hobbes, sono delle bestie egoiste che pensano solo al loro benessere: l’esistenza è una “guerra di tutti contro tutti”. Alla fine del settecento queste teorie, nonostante gli sforzi di Hume, diventarono l’ortodossia.

L’indipendenza prima di tutto
Oggi la bontà è accettata solo nel rapporto tra genitori e figli. La capacità di farsi carico della vulnerabilità degli altri, e quindi della propria, è diventata un segno di debolezza. Nessuno sostiene che i genitori debbano smettere di essere premurosi con i figli, ma le nostre società hanno sviluppato una fobia per la gentilezza e le persone si rifiutano di fare gesti scontati di benevolenza accampando decine di buone ragioni per giustificare questo rifiuto.

Ogni forma di compassione è autocommiserazione, osservava D.H. Lawrence. Quest’idea riflette un sospetto diffuso nella modernità: la bontà è una forma superiore di egoismo o la forma più vigliacca di debolezza. La maggior parte degli essere umani pensa che la gentilezza sia la virtù dei perdenti. Ma ragionare in termini di vincenti e perdenti significa accettare il rifiuto per la generosità imposto dalla paura.

In pochi si chiedono perché tendiamo a essere gentili con gli altri e perché la generosità ci sembra importante. A differenza di quello che succede con un ideale astratto come la giustizia, sappiamo riconoscerla nella maggioranza delle situazioni. Ma proprio il fatto di sapere cosa sia un gesto gentile ci aiuta a evitarlo. Di solito sappiamo cosa fare per essere gentili e ci accorgiamo quando qualcuno è gentile con noi. Ma la gentilezza ci fa sentire profondamente a disagio. Eppure è la cosa che ci manca di più. È l’epoca in cui tutti si lamentano per la mancanza di gentilezza degli altri.

È solo egoismo
Come sostenevano Rousseau, Word­sworth e molti altri intellettuali, la chia­ve di tutto sta nell’infanzia. Oggi capita spesso di affermare che i bambini picco­li sono naturalmente crudeli, mentre capita molto meno di sostenere che sono per natura generosi, istintivamente inte­ressati al bene degli altri, toccati dalle sofferenze altrui e disposti ad alleviarle.

Le spiegazioni che si davano nell’otto­cento sull’“innocenza” dei bambini, e che oggi vengono etichettate come ecc­essivamente sentimentali, erano anche un tentativo di dare voce a quella bontà istintiva che poi si perdeva diventando adulti. La perdita dell’innocenza infan­tile era, tra l’altro, la perdita di una natu­rale fiducia negli altri. Oggi, dopo gli studi di Charles Darwin e di Sigmund Freud, abbiamo molti più mezzi a disposizione per descrivere i nostri dubbi sui sentimenti umani più benevoli, compre­sa l’innocenza dei bambini.

Ma c’è un fatto cruciale che vale la pe­na di sottolineare senza girarci intorno: la bontà dell’infanzia si perde con troppa facilità quando cresciamo. Se questa perdita avviene su una scala abbastanza ampia, assume le proporzioni di un disa­stro culturale.

Il sospetto più radicato nei confronti della gentilezza è che sia solo una forma di narcisismo camuffato: siamo gentili perché ci gratifica, le persone gentili so­no drogate di autocompiacimento. Nel 1730 il filosofo Francis Hutcheson liquidò così quest’idea: “Se questo è egoismo, bene, che lo sia. Nulla può essere meglio di questo egoismo, nulla più generoso”.

Nell’Emilio Rousseau ha insistito sul­ lo stesso punto con maggiori dettagli psicologici. La generosità di Emilio è un’estensione del suo amour de soi (amore naturale per se stessi). Emilio “assapora la sua pitié” perché esprime la sua vitalità: solo quel bambino che si prende cura di se stesso e che gioisce del suo sentirsi vivo “cercherà di estendere questo suo modo di essere e queste sue gioie” agli altri.

Il ritratto che Rousseau fa di Emilio mostra molto bene perché la bontà è la qualità umana più invidiata. Le persone credono di provare invidia per il denaro, la fama e il successo, ma in realtà invi­diano soprattutto la bontà: è l’indicatore più forte della serenità e del piacere di vivere.

Eppure la gentilezza continua a esse­ re un’esperienza di cui non riusciamo a fare a meno. Tutto, nel nostro sistema di valori contemporaneo, contribuisce a far sì che sembri utile in alcune circostanze (lo è), ma anche potenzialmente super­flua, come le vestigia di un’altra epoca. E tuttavia la desideriamo, sapendo che la gentilezza, quel sentimento antiroman­tico che incoraggia la vitalità legata alla vulnerabilità, crea un coinvolgimento con gli altri che temiamo e allo stesso tempo cerchiamo con tutte le forze.

È la gentilezza, quindi, che rende la vita degna di essere vissuta: ogni attacco contro la gentilezza è un attacco contro le nostre speranze.

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